GABRIELE PAPI
Cronaca

Tutti al caldo col ‘prete’ e la ‘suora’ nel letto

Erano detti così gli ‘scaldini’ che si usavano sotto le lenzuola nelle fredde case, specie nelle campagne, fino a metà del Novecento

Tutti  al caldo col ‘prete’ e la ‘suora’ nel letto

Tutti al caldo col ‘prete’ e la ‘suora’ nel letto

Quando c’erano il ‘prete’ e la ‘suora’ nel letto: nel senso dello scaldino (vedi foto) che si metteva sotto la coperta per riscaldare le gelide lenzuola. Una pratica diffusa in molte case durata sino alla metà e oltre del ‘900. Il riscaldamento delle abitazioni è sempre stato un problema molto serio, con buona pace dei buffi cantori d’una immaginaria Romagna d’una volta beota e spensierata quando in realtà gran parte delle persone viveva in condizioni abitative e igieniche impensabili per la nostra odierna mentalità.

Nelle case di campagna c’era il camino, in quelle di città la stufa a legna: ma non bastavano per riscaldare l’intera casa. E allora tenevano banco gli scaldini che comparivano nei mercati proprio in questi giorni novembrini, a cavallo di Santa Caterina (il 25 novembre: Caterina d’Alessandria, non Caterina da Siena): perché, come da secolare pronostico metereologico, "A Santa Catarèna o e’ nèva o paciarìna" (o nevica o è nevischio, pioggia gelida). C’erano scaldini per mani e per piedi. C’era lo ‘scaldalèt’, recipiente di rame pieno di braci calde, con lungo manico, da strusciare sulle lenzuola, con il rischio però di bruciarle o peggio.

Il ‘prete’ e la ‘suora’ erano invece soluzione migliore, per quei tempi: il telaio in legno, realizzato da abili falegnami (il ‘prete’) ospitava su una spessa tavoletta conduttrice di calore sulla quale si poneva lo scaldino vero proprio in terracotta, detta ‘la suora’.

Ma i letti da scaldare erano più d’uno: e allora si rimediava con mattoni porosi riscaldati sulla stufa o ai bordi del camino, avvolti in ruvidi panni di canapa e infilati sotto le lenzuola. Abbiamo mostrato ad alcuni giovani d’oggi la foto del ‘prete’ e della ’suora’: stupiti e incuriositi ci hanno ovviamente chiesto il perché di questo buffo nome. Cari burdèl, siamo sempre lì: la nostra Romagna è rimasta tre secoli e mezzo, dai primi del 1500 fino al Regno d’Italia sotto il dominio pontificio. Come dimostra una nota legge della fisica: ogni azione provoca una reazione uguale e contraria. Da qui nacque il vivace anticlericalismo popolare d’un tempo.

Ancora mezzo secolo fa l’ultimo numero dello Stracittadino, giornalino del Circolo Goliardico di vocazione rigorosamente anticlericale, in un suo scanzonato ‘Vocabolarietto’ recitava: "prete - arnese per scaldare il letto della perpetua". Anche la ‘papalèna’, la papalina intesa come berretto di lana realizzato amorosamente in casa da nonne e zie, prendeva il suo ironico nome dialettale dalla berretta di casa del papa e dei ‘papalini’, cioè dei devoti al potere temporale della Chiesa. Ma intanto, sia in casa che fuori casa, la ‘papalèna’ permetteva di difendere le orecchie dai morsi del freddo e dai geloni, malanni il cui il cui nome chiama direttamente in causa gli effetti del gelo: arrossamenti con vesciche dolorose alle mani, ai piedi, alle orecchie. Dolori che si cercava di lenire, se non si avevano i soldi per pomate di farmacia, con frizioni di alcol o di vaselina. Le lavandaie, il mestiere femminile più duro che ci sia stato, per dare un po’ di sollievo alle loro mani martoriate sempre a mollo, si preparavano una sorta di crema emolliente con le candele di chiesa (che allora erano di cera) sciolte in un pentolino con un filo d’olio bollente.