Rimini, 20 aprile 2023 – "Nessun rinnovo automatico delle concessioni balneari". La Corte di giustizia ha bocciato questa mattina la linea delle proroghe, ventilata dall'Italia, sul nodo concessioni, imponendo di fatto al governo di "applicare le norme europee". Si andrà alle aste, insomma, ritenute nel pronunciamento della Corte: "trasparenti e non discriminatorie". Questo il pronunciamento dei giudici di Lussemburgo, su cui tutti gli occhi dei bagnini della Riviera sono stati puntati come fari questa mattina per conoscere il proprio destino e dei loro stabilimenti. Nella sentenza odierna la Corte ha ricordato che le disposizioni Ue si applicano "a tutte le concessioni di occupazione del demanio marittimo" e che, nel valutare la scarsità delle risorse naturali utilizzabili per la messa a bando, i Paesi membri sono chiamati a basarsi su "parametri oggettivi". Da qui l'obbligo di uniformarsi anche per l'Italia, con i bagnini di Rimini e dintorni che vedono di fatto realizzarsi così l'incubo aste, vedendo applicata la direttiva Bolkestein sulla libera concorrenza per le concessioni balneari.
Corsini (Emilia Romagna): dal Governo bluff elettorale
"La decisione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea di oggi segna definitivamente la fine dell'irresponsabile bluff elettorale che l'attuale Governo sta portando avanti da troppo tempo sulla pelle dei titolari degli stabilimenti balneari", sostiene, in una nota, l'assessore al Turismo della Regione Emilia-Romagna, Andrea Corsini. Si tratta di una decisione - continua Corsini - che "riguarda migliaia di famiglie: solo in Emilia-Romagna oltre 1.500. È importante ricordare che queste persone sono la spina dorsale di una delle grandi industrie di questo paese e non meritano di continuare a essere prese in giro. Hanno bisogno di prospettive e certezze, anche se non sono quelle che alcuni auspicavano, già a partire da una stagione turistica ormai prossima". Ora, a giudizio di Corsini, resta una sola la strada da percorrere: "su proposta dell'Emilia-Romagna, tutte le Regioni avevano fatto proprio un documento con una serie di criteri ben precisi, e soprattutto realizzabili, per affrontare le gare. È da quel testo - conclude- che dobbiamo ripartire il prima possibile, senza far perdere altro tempo a un settore che vale praticamente il 15% del Pil nazionale".
La storia delle concessioni in Italia
Se ne parlava da anni: era il 2006 quando l’Europa l’ha emanata. Da allora sono trascorsi 17 anni, nei quali il governo italiano a più riprese ha tentato di aggirare l’ostacolo spostando sempre più in là la fine delle attuali concessioni. Ma i tentativi si sono infranti davanti ai giudici. Il Consiglio di Stato nel 2021 è stato lapidario bocciando senza alcun appello il rinnovo automatico delle concessioni al 2033. Ma lo è stato anche di recente, con la sentenza del primo marzo quando, interpellato dall’Autorità garante della concorrenza, ha stabilito che non era legittima anche la norma contenuta nel decreto Milleproroghe del governo approvata solo cinque giorni prima, con cui si dava un anno di proroga prima delle aste. Così si è arrivati alla sentenza di oggi della Corte di giustizia anche se c’è un importante precedente. Sempre la Corte, nel 2016 si era espressa bocciando la precedente proroga. Viste le premesse, le speranze che ora si possa cancellare tutto e mantenere lo status quo delle spiagge sono davvero poche. Se non ci saranno sorprese e la strada dovesse portare alle aste allora si aprirebbe un nuovo fronte, quello dei decreti attuativi e del poco tempo a disposizione per predisporli prima del 31 dicembre, quando le concessioni scadranno.
Pizzolante: “Le gare sono ormai inevitabili”
I bandi pubblici per le concessioni balneari "sono una strada obbligata, senza ritorno. L’Europa ce lo chiede da anni. I bagnini non si facciano illusioni, perché farebbero solo del male a sé stessi". Così l’ex parlamentare Sergio Pizzolante aveva detto alla vigilia della sentenza.
Se la legge fosse entrata in vigore, l’Italia avrebbe risolto il problema?
"Io penso di sì – dice Pizzolante – La nostra legge nel 2017 fu approvata alla Camera e poi bloccata al Senato per l’ostruzionismo di alcuni partiti. Fu un grave errore".
La legge arrivò dopo la sentenza della Corte di giustizia europea del 2016 che stabiliva bandi pubblici per le concessioni.
"Esattamente. E la nostra legge aveva proprio questo spirito: acquisire il principio che il rinnovo automatico non era più possibile, che non si poteva andare oltre la proroga di 5 anni che l’UE ci aveva già concesso, che i bandi andavano fatti ma dando certezze e riconoscimento del valore d’impresa e della professionalità degli operatori. Era la soluzione migliore, ma ci hanno boicottato. Poi è arrivato il governo Lega-M5s e ha varato l’ennesima proroga fino al 2033, sapendo che non poteva reggere, né di fronte all’Unione europea né davanti ai giudici".
Se le gare sono davvero inevitabili, come andranno fatte? E quale dovrebbe essere la durata delle nuove concessioni?
"Partiamo dal fatto che gli arenili sono beni pubblici e non possono essere affidati a tempo indeterminato. Ma sulle spiagge ci sono imprese che hanno fatto investimenti, creato attività e valore e questo va riconosciuto".
C’è il rischio che si arrivi a gare non per singole concessioni ma per aree, accorpando vari stabilimenti e attività?
"Non credo. L’Italia può e deve far valere la peculiarità delle imprese balneari, che sono micro-imprese, spesso familiari".
Nel caso di bandi, le strutture presenti oggi sulla spiaggia rischiano di essere demolite, o invece potranno essere affidate ai nuovi concessionari?
"Fanno parte del valore d’impresa. La vera partita sarà sugli indennizzi da riconoscere ai concessionari uscenti".