SARA SERVADEI
Alluvione: un anno dopo

Alluvione, lo psicologo: "Abbiamo aiutato 700 persone. E tanti i disagi li vivono ancora"

Angelone, psicoterapeuta: "Tanti hanno sperimentato la sindrome da stress post traumatico. Nei giorni successivi rivivevano nel ricordo il rumore dell’acqua che sale e la pioggia battente"

Ravenna, 10 maggio 2024 – Poche ore che cancellano tutto. La casa, il posto sicuro, invaso all’improvviso dall’acqua. La propria vita e quella dei propri cari in pericolo, oggetti e ricordi affogati nel fango, ritrovarsi senza niente e non sapere da dove ricominciare.

Il salvataggio di una donna nel maggio dell’anno scorso
Il salvataggio di una donna nel maggio dell’anno scorso

Un trauma che hanno dovuto affrontare in tanti un anno fa, nei giorni terribili dell’alluvione, tanto che nelle zone colpite oltre agli angeli del fango sono arrivati anche gli psicologi dell’Ausl. "Siamo arrivati nella prima fase, quella più acuta – dice Giuseppe Angelone, psicologo e psicoterapeuta facente funzione di resposabile di Psicologia della salute di comunità in provincia – e siamo rimasti fino a fine settembre".

Angelone, quante persone avete accolto in quel periodo?

"Circa 700. Alcune hanno fatto con noi più di un colloquio, in cui c’è stato un primo intervento di supporto alle conseguenze post traumatiche da stress. Poi le richieste sono andate calando, e in seguito sono stati avviati percorsi di gruppo per la gestione dello stress e altre azioni di psicologia di comunità".

Nei giorni successivi all’alluvione erano stati aperti diversi punti di ascolto. Dove?

"Lugo, Conselice, Sant’Agata, Faenza, Solarolo e Castel Bolognese, Fornace Zarattini. Abbiamo ricevuto l’aiuto dei colleghi da varie aziende sanitarie della regione. Siamo arrivati a una novantina di psicologi, di cui una ventina dalla Romagna e gli altri da tutta l’Emilia-Romagna. L’Ausl Romagna aveva attivato anche una linea telefonica di supporto".

Che situazione avete visto nei primi giorni?

"Un trauma collettivo. Disturbo acuto da stress con elevati livelli di ansia e allerta e con ricordi persistenti e intrusivi dell’evento. Sentivano ancora lo scorrere dell’acqua che sale mentre la pioggia non si ferma, faticavano a provare emozioni positive, avevano incubi ricorrenti. Passato il pericolo reale è arrivata una sorta di rimozione, di anestesia emotiva, e tutta l’attenzione si è concentrata sul recupero della casa. Essere impegnati era anche un modo per non pensare. Poi sono arrivate reazioni depressive di impotenza e infine rabbia, bisogno di risposte e rassicurazioni immediata".

È passato un anno. Vedete ancora strascichi?

"Per fortuna tante situazioni di disagio acuto sono rientrate. Resta il disagio psico-sociale di chi ha ancora difficoltà sul piano abitativo, di chi non è ancora riuscito a ripristinare del tutto la casa. E ci sono persone vulnerabili che temono che possa riaccadere. Ci si sente in balia della natura".

Che peso psicologico ha un’esperienza di questo tipo?

"È come fare esperienza diretta di qualcosa che di solito sentiamo accadere altrove, che non pensiamo che possa succedere a noi. Di positivo c’è che l’evento ha messo in risalto le risorse della comunità in termini di coesione e solidarietà. Tanti hanno sentito di poter contare gli uni sugli altri, sperimentando la tenuta del sistema collettivo".

Gli alluvionati, però, hanno sperimentato anche la difficoltà nell’ottenere i rimborsi...

"Tanti ci riferiscono di essere ancora in attesa di lavori di ripristino. In generale l’impatto traumatico è stato maggiore per i più fragili, in condizioni socio-economiche disagiate. E a questo punto il problema non è tanto l’alluvione in sé, ma il peggioramento di equilibri individuali e personali".

Si può parlare di sindrome da stress post traumatico?

"Sì, in molti l’hanno sperimentata. Nel tempo questa cosa è andata via, resta un disagio dove già c’era una fragilità".