BENEDETTA CUCCI
Alluvione: un anno dopo

Ho visto il finimondo, Reno: "I miei synth dal vivo per il cinema"

L’artista bolognese è autore della colonna sonora del documentario: "Nelle musiche ’meno è meglio’"

La data non è casuale: il 16 maggio alle 18 al cinema Modernissimo verrà proiettato il documentario Ho visto il finimondo di Valerio Baroncini e Marco Santangelo. Si parla quindi dell’alluvione che il 16 maggio del 2023 travolse la Romagna e del lavoro di documentazione che i due cronisti e autori hanno portato avanti, raccogliendo le storie di chi ha perso tutto. Per raccontare una catastrofe in video non è facile trovare un suono di commento giusto, ma la musica dell’artista bolognese Reno, al secolo Marco Solferini, è risultata la scelta narrativa più toccante per la colonna sonora.

L’artista Reno, al secolo Marco Solferini.
L’artista Reno, al secolo Marco Solferini.

Reno, come ha vissuto questa collaborazione con gli autori e il tema alluvione?

"Quando mi hanno proposto di lavorare alla colonna sonora del documentario, che proprio per la sua identità è un progetto che fa del bene, ho realizzato che, nonostante io fossi a Bologna durante l’alluvione – non a chilometri di distanza dall’epicentro della tragedia –, non avevo realizzato la gravità della situazione. Solo quando sono andato a Castel Bolognese ad aiutare amici in difficoltà, ho compreso il dramma. Ecco quindi che un documentario come questo riaccende la luce su quella catastrofe che poi forse è scemata dall’interesse pubblico".

Come nascono le musiche del documentario?

"A inizio 2024 ho fatto uscire un mio concept album, StorAge , che era già stato pensato e scritto come la colonna sonora di qualcosa. Era in effetti la colonna sonora di un progetto di arte digitale, generativa, creata con algoritmi di machine learning nel 2023, quando le creazioni con Intelligenza Artificiale non erano ancora così semplici. Ed erano legate ai brani, perché la mia musica è legata a un concept estetico e visual. Baroncini e Santangelo, conoscendo le mie produzioni di genere synth wave sperimentale, tendenzialmente tutte senza batteria, con le ritmiche date dagli arpeggiatori dei sintetizzatori, mi hanno contattato perché le avrebbero volute per il film. Poi ne ho scritte altre nuove per il lavoro".

’StorAge’, un titolo che suggerisce accumulo, compulsione. Come elabora questo concetto distopico?

"Viviamo nell’epoca dell’archiviazione compulsiva di file. Archiviamo tutto quello che possiamo perché abbiamo lo spazio per farlo, non ci interessa poi se questi file sono in un cloud che noi immaginiamo come una cosa astratta, anche se poi si tratta di server sempre più grandi in qualche parte del mondo. Questa è l’epoca dell’archiviazione compulsiva, di massa. E StorAge è legato a un progetto visuale che racconta i momenti salienti della vita sul pianeta, dal Big Bang alla nascita delle terre emerse, fino alla comparsa dell’acqua che ha dato origine alla fotosintesi. Il concetto è quello di immaginare che qualcuno del presente abbia deciso di archiviare in una chiavetta usb tutti questi documenti, che poi saranno ritrovati nel futuro".

L’acqua che crea e che distrugge, come ha scritto le nuove musiche?

"Ne ho parlato molto con gli autori che però mi hanno lasciato una grande libertà compositiva, anche perché non volevano fosse una colonna sonora classica. Avevo pensato a una musica che mettesse d’accordo più gusti possibili, ma loro mi spingevano a essere un po’ più estroso, cosa che ho trovato coraggiosa. E aggiungo che l’idea di comporla con dei veri sintetizzatori e non con il computer, con musica elettronica suonata dal vivo per un uso cinematografico, rende tutto più autentico. Quello che mi piace dell’uso di strumenti reali è che le possibilità sono limitate e la ricerca sui suoni è la cosa più importante. Poi vengono le melodie, un po’ ripetitive, all’insegna del ’meno è meglio’, perfette per una colonna sonora".