Tampone Covid: quale fare? Burioni spiega le differenze tra molecolare e rapido

Anticorpi nel sangue, infettività, presenza delle proteine del Coronavirus: il virologo pesarese fa chiarezza sui diversi tipi di test, sierologici compresi

Burioni spiega quale tampone fare a seconda delle circostanze

Burioni spiega quale tampone fare a seconda delle circostanze

Pesaro, 16 dicembre 2020 - Quali sono gli esami più utili per identificare chi è a rischio di trasmettere il Covid19, anche perché non ha sintomi o non li ha ancora? «Per questo scopo, i test sierologici sono pressoché inutili – scrive il virologo Roberto Burioni sul sito MedicalFacts, da lui fondato –. Dimostrano la presenza di anticorpi nel sangue, che sono il segno di un’infezione avvenuta nel passato. Se il test sierologico è positivo, il paziente può essere non infettivo perché gli anticorpi possono essere dovuti a una infezione lontana nel tempo e già risolta. Se invece il test è negativo, il paziente può essere nel momento iniziale della malattia. In altre parole il test sierologico, per capire chi è infettivo e isolarlo, non serve a molto». 

Per valutare l’infettività degli individui il test d’elezione è invece il tampone molecolare. «La Pcr (polymerase chain reaction, reazione polimerasica a catena) – spiega il virologo – serve a dimostrare la presenza del genoma a Rna del virus nelle secrezioni raccolte sulle mucose. Questa metodica è estremamente efficace ed è ‘costruita’ in modo da ‘vedere’ solo il genoma del Covid19 e la presenza nelle mucose anche di una sola molecola di Rna virale risultato positivo. Questo è un vantaggio e uno svantaggio allo stesso tempo. Da un lato un esame così sensibile, quando negativo, assicura in maniera molto affidabile sulla non infettività del soggetto in quel dato momento. Dall’altro, dimostrando la presenza non del virus, ma del suo genoma. E ottenendo un risultato positivo anche con poche molecole presenti, è molto probabile che alcuni dei positivi non siano in realtà più infettivi».

Infine ci sono i tamponi rapidi che non dimostrano la presenza del genoma del virus, ma delle sue proteine. «Concettualmente funzionano in maniera identica ai test di gravidanza – prosegue il virologo dell’istituto Vita-San Raffaele di Milano – ma a differenza di questi che individuano le proteine nelle urine della gestante, i test antigenici rapidi rilevano la presenza di proteine del virus direttamente sul tampone. In questo caso manca completamente il passaggio di ‘amplificazione genica’, per cui questi tamponi sono stati finora considerati molto meno sensibili. Tanto per avere un’idea, se il molecolare riesce a dimostrare la presenza di due sole molecole di Rna virale, il tampone rapido ha finora dimostrato la presenza di almeno ventimila proteine virali. Ma per fortuna – conclude Burioni – un gruppo di bravissimi virologi tedeschi ha messo a confronto le prestazioni di diversi test antigenici rapidi, e alcuni sono stati in grado di dimostrare con accuratezza la presenza di poche decine di virus in grado di infettare nel tampone proveniente da pazienti positivi. Anche in questo caso, la velocità della scienza lascia stupefatti: per avere un test efficace per l’epatite C c’è voluto molto tempo ma quando, nel 1990, è risultato disponibile, la diffusione dell’infezione è crollata. Potrebbe succedere lo stesso per questo nuovo Coronavirus». 

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