Vaiolo delle scimmie, lo studio sulla trasmissione

Cristina Mussini, direttrice delle Malattie infettive del Policlinico di Modena: "L’indentificazione dei casi, senza una profilassi disponibile, è vitale"

Modena, 24 luglio 2022 - Cristina Mussini, direttrice delle Malattie Infettive del Policlinico e docente Unimore, è tra i firmatari di un articolo, pubblicato sul prestigioso New England Journal of Medicine di luglio, che ha studiato la diffusione nell’uomo del Vaiolo delle Scimmie in 16 Paesi.

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Cristina Mussini, docente UniMoRe
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L’articolo è il frutto del lavoro di un gruppo internazionale di clinici che hanno raccolto un’ampia casistica per descrivere la presentazione, il decorso clinico e gli esiti delle infezioni da virus del vaiolo delle scimmie confermate dalla reazione a catena della polimerasi. "Prima dell’aprile 2022 – ha spiegato Cristina Mussini – l’infezione da virus del vaiolo delle scimmie negli esseri umani era raramente segnalata al di fuori delle regioni africane dove è endemica. Attualmente, i casi si stanno verificando in tutto il mondo. La trasmissione, i fattori di rischio, la presentazione clinica e gli esiti dell’infezione sono scarsamente definiti. Scopo del nostro lavoro è colmare questa lacuna nelle nostre conoscenze".

Lo studio ha analizzato 528 infezioni diagnosticate tra il 27 aprile e il 24 giugno 2022, in 43 aree di 16 Paesi. Complessivamente, il 98% delle persone con infezione erano uomini omosessuali o bisessuali; il 75% erano bianchi e il 41% aveva un’infezione da virus dell’immunodeficienza umana; l’età media era di 38 anni.

"Uno dei nostri primi sospetti – aggiunge Mussini – è stato che la trasmissione avvenisse per via sessuale. Effettivamente, abbiamo rilevato infezioni sessualmente trasmissibili concomitanti al vaiolo delle scimmie in 109 delle 377 persone (29%) che sono state testate. Tra le 23 persone con una chiara storia di esposizione, il periodo di incubazione mediano è stato di 7 giorni (range, da 3 a 20). Questo dato non è ancora decisivo per affermare con certezza che quella sessuale sia l’unica forma di trasmissione, anche perché il virus è stato riscontrato in diversi liquidi biologici quali saliva, urine, feci e sangue".

In particolare, il Dna del virus Monkeypox è stato rilevato in 29 delle 32 persone in cui è stato analizzato il liquido seminale. "Questo studio – conclude la prof. Mussini – è un punto di partenza, un mattone di una casa della conoscenza di questa malattia che deve essere ancora costruita. Il nostro campione di casi si riferiva a persone che presentavano sintomi che le portavano a cercare assistenza medica. Non abbiamo testato, quindi, gli asintomatici. I sintomi sono stati registrati dal momento della presentazione e quindi i primi sintomi potrebbero essere stati sottostimati, limitando le informazioni sul periodo di incubazione. Poiché i virus non conoscono confini, il mondo ha bisogno di muoversi in modo coeso e rapido per colmare le lacune nella conoscenza e contenere l’epidemia che ha già raggiunto i 14000 casi dall’inizio dell’anno, con 5 decessi. Senza un trattamento o una profilassi ampiamente disponibili, l’identificazione rapida dei casi è vitale per il contenimento".