L’eredità del civismo

Bologna, 23 giugno 2019 - Il 27 giugno 1999, dieci anni dopo la caduta del Muro di Berlino, Giorgio Guazzaloca abbatte quello di Bologna e diventa sindaco. Cosa insegna quella stagione nell’Emilia-Romagna tenuta dal Pd, ma conquistata dalla Lega in alcune roccaforti simbolo? Guazza è il primo non comunista alla guida della città. Sotto le macerie rimangono i Ds. Il civismo entra nel vocabolario della politica

Guazza non lo inventa, lo incarna. Sotto le Due Torri gli inviati da mezzo mondo, dal Giappone agli States, raccontano la sconfitta di quel che fu il più grande partito comunista d’occidente. Il partitone rosso rimasto vittima di un senso di onnipotenza che si manifestò con scelte autolesioniste. Tanto che ancora oggi c’è chi vorrebbe liquidare la stagione di Guazzaloca attribuendola al demerito altrui piuttosto che alla fiducia e alla voglia di cambiamento di una città.

In quei giorni a Bologna si scatta una nitida fotografia di come possa cambiare la politica. Uno scatto ambito da molti, ottenuto da pochi mentre si sono sprecate, negli anni, le alchimie per ottenere voti spacciando patacche elettorali per civismo. Oggi molto è cambiato, a tutte le latitudini partitiche. Col paradosso che, proprio in Emilia-Romagna, chi oggi guadagna dal civismo (vero o falso) pare essere il centrosinistra: basta guardare ad alcuni risultati elettorali alle amministrative.

L’esperienza Guazzaloca insegna alcune cose ancora valide: 1) Non ci sono elezioni che non si possono vincere. O perdere. Valse per il Comune di Bologna nel ’99, vale per la Regione Emilia-Romagna. Non a caso Stefano Bonaccini pensa a una lista col proprio nome. Non a caso, anche sul fronte Lega – partito potente e dall’identità forte – la caccia a personalità civiche è iniziata. 2) Il Guazza fu portato a Palazzo d’Accursio dalla sua lista e dai partiti del centrodestra. Ai quali impose distanze – non affisse i manifesti inviati da Berlusconi – e dai quali ricevette rispetto. Voleva essere un uomo libero. Ai suoi assessori ripeteva: «Ricordatevi che state usando i soldi dei bolognesi». Andrebbe scolpito in ogni aula del potere. 3) Voleva essere sindaco da cittadino con l’ambizione di far parlare i fatti, senza rinunciare alle idee. Non sempre allineate ai luoghi comuni o al servizio di facili consensi. Da presidente dei Commercianti organizzò un convegno con Pierluigi Bersani, ministro che aveva liberalizzato le licenze dei negozi. Si aspettava tempesta, Guazzaloca lo promosse. La sorpresa fu tale che un giovane cronista non riuscì a spiegare al capo che le cose fossero andate così.  4) Gli avversari lo chiamavano ex macellaio. Lui, più colto di molti di loro, guadagnava simpatia e voti. Vale anche al tempo dei social. 5) Guazzaloca voleva autonomia dai partiti, ma aveva una mente politica raffinata, sapientemente allenata nella vita associativa e imprenditoriale in città e non solo. La sua eredità è aver unito politica (il governo della Polis) e cittadini (i cives). Senza scorciatoie.