ALESSANDRO CAPORALETTI
Economia

Lavoro, la grande fuga. Boom di dimissioni. "Pesano la precarietà e gli stipendi bassi"

In Emilia-Romagna trend in crescita fotografato da uno studio della Cisl. Il segretario Pieri: poca gratificazione. C’è chi lascia anche se è stabilizzato

Impennata delle dimissioni dal lavoro in Emilia Romagna

Impennata delle dimissioni dal lavoro in Emilia Romagna

Bologna, 3 luglio 2023 – Duemilaventuno-2022, fuga dal lavoro. Pandemia e chiusure nel primo degli anni neri del Covid, il 2020, hanno fatto esplodere il fenomeno delle dimissioni volontarie dal lavoro in Emilia-Romagna. Posto fisso (sicuro) o precario addio: nel 2022 ci hanno dato un taglio 206.368 lavoratori dipendenti del settore privato (esclusi lavoratori domestici e operai agricoli), nel 2021 182.208, l’anno prima erano stati 129.687 e nel 2019 156.600. Secondo il dossier della Cisl, il balzo del 2021 (+28,81%) e quello dell’anno scorso (+11,7%) hanno solo accelerato un trend di crescita già in atto nell’ultimo decennio. Dal 2014 (110.206 dimissioni) al 2022 lo scarto è quasi di centomila unità. Facendo due conti, la media 2014-2022 è di 143.777 dimissioni volontarie all’anno e i numeri salgono sull’ascensore – manco a dirlo – proprio nel 2022 (+30% sulla media) e nel 2021 (+21,1%). All’opposto, nel 2016 (-34,5%) e nel 2014 (-30,5%) il fenomeno cala.

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Di statistica in statistica, nel 2022 l’incidenza delle dimissioni volontarie sul totale dei dipendenti privati è del 13,7% (206.368 per 1.501.941 lavoratori dipendenti, più 1,2% rispetto all’anno prima): il 14,5% per gli uomini e il 12,8% per le donne. Chi lascia il posto? Non c’è grande differenza tra uomini e donne, semmai più i giovani fino a 29 anni. E veniamo ai settori. L’emorragia è tra i dipendenti del commercio (all’ingrosso, al dettaglio e servizi): sono in media il 35,68% di quanti lasciano il posto. Poi ci sono i lavoratori del settore manifatturiero (24,87%), le attività professionali, scientifiche e tecniche (17,01%), le costruzioni (6,77%), le attività artistiche, di intrattenimento e divertimento (6,12%), l’amministrazione pubblica (5,45%), i servizi di informazione e comunicazione (1,98%), le attività finanziarie e assicurative (1,15%), agricoltura, silvicoltura, pesca e infine le attività immobiliari.

E perché si lascia il posto di lavoro? Le assunzioni a tempo indeterminato in Emilia-Romagna mostrano un andamento relativamente stabile dal 2014 al 2022, ma con un tendenziale miglioramento nell’ultimo biennio (82.790 nel 2021 e 103.905 nel 2022), mentre quelle a tempo determinato, fatta eccezione per il 2020 (l’anno della crisi Covid), seguono una curva di crescita più decisa dal 2016 a oggi (239.070 nel 2021 e 262.210 nel 2022). Sono dati che, secondo la Cisl, "sembrano fotografare una condizione di precarietà strutturale e chiaramente involontaria". C’è dell’altro, insomma, dietro al boom delle dimissioni. In primis le basse retribuzioni: nel 2021, ad esempio, erano ancora inchiodate alla soglia di due anni prima. Poi i percorsi di carriera al rallentatore. "I riconoscimenti professionali più elevati – rileva la Cisl – rappresentano appena il 2,91% del totale dei lavoratori dipendenti (nel 2021), tra i giovani lo 0,01%". "È evidente che qualità del lavoro e gratificazione non sono aspetti esiziali – osserva Filippo Pieri (foto), segretario generale della Cisl Emilia-Romagna –. Chi non si riconosce nell’attività che svolge, per i più diversi motivi, è tendenzialmente meno motivato a investire sulla permanenza nel posto di lavoro e sull’accrescimento di sé e della propria professionalità". Ma annche il precariato ci mette molto del suo: leggasi tipologie contrattuali non stabili, che "riguardano il 26% dei lavoratori dipendenti nel settore privato, il 29,39% nel caso delle donne e il 49% tra i giovani fino a 29 anni".