
Con la stretta del Governo sulle inflorescenze, Cannabilla, piccola realtà specializzata in cosmetici naturali ed erbe officinali, è nel mirino: "Noi lavoriamo con il Cbd, non ha effetti psicotropi ma anti infiammatori".
Con l’approvazione dell’articolo 18 del decreto Sicurezza, che vieta la lavorazione e la commercializzazione delle infiorescenze di canapa sativa, molte piccole imprese che operano nella legalità rischiano il collasso. Tra queste c’è Cannabilla, azienda di Amandola, nei Monti Sibillini, fondata da Francesco Maria Galloppa. Un’impresa innovativa, nata per rilanciare il territorio attraverso la produzione di cosmetici naturali e nutraceutici a base di canapa ed erbe officinali.
Galloppa, com’è nata Cannabilla?
"Cannabilla nasce da una passione familiare: mia madre e mio padre negli anni ’70 avevano avviato un piccolo progetto con le erbe officinali. Dopo il terremoto del 2016 sono tornato nel fermano: ero architetto a Roma, ma qui i terreni stavano andando in rovina. Ho deciso di ripartire dalla terra e da quel sogno".
Come siete arrivati alla coltivazione della canapa?
"Un signore del posto ci suggerì la canapa, pianta versatile che offre applicazioni in tanti settori: tessile, cosmetico, alimentare. Così nel 2018 facemmo la prima coltivazione. È stato un inizio difficile, ma abbiamo continuato".
Cosa produce oggi Cannabilla?
"Principalmente cosmetici naturali a base di canapa e piante locali. Abbiamo creato una linea nostra e lavoriamo anche conto terzi. Tutto nasce qui, intorno al laboratorio, con erbe e canapa coltivate sul posto. L’uso di acqua di sorgente e metodi innovativi ci permette di unire tradizione e tecnologia".
Avete scelto anche di coinvolgere giovani del territorio.
"Sì, ci tengo molto. Lavorano con me una chimica e un agronomo, entrambi giovani e talentuosi. Sono figure che altrove sarebbero finite in una multinazionale. Così invece restano, crescono e fanno crescere il territorio".
Quanto incide il decreto Sicurezza sulla vostra attività?
"Incide totalmente. L’articolo 18 vieta l’uso delle infiorescenze, che sono parte essenziale della pianta. È come voler vendere un albero senza rami. Per noi significa non poter coltivare qui, e quindi perdere il vantaggio competitivo di produrre tutto localmente".
Ma non vendete prodotti con effetti psicotropi, giusto?
"Assolutamente no. L’unico cannabinoide con effetti psicoattivi è il Thc. Noi lavoriamo col Cbd, che ha, tra gli altri, effetti antinfiammatori e anti-età molto apprezzati in ambito cosmetico. Il problema è che il fiore, da cui si estrae, ora non possiamo più utilizzarlo".
Qual è il rischio per l’azienda?
"Il rischio è dover chiudere o snaturare il progetto. Se non possiamo più coltivare, dobbiamo comprare la materia prima altrove, con costi più alti. Ma soprattutto perdiamo l’identità: Cannabilla è nata qui, nei Sibillini, con risorse locali".
Avete un piano B se il decreto non cambia?
"Non vogliamo nemmeno pensarci. Dovremmo reinventare l’azienda da capo. Il nostro punto di forza è creare valore scientifico e agricolo sul territorio. Abbandonare questo significherebbe arrendersi. E per una volta che una realtà innovativa funziona nelle aree interne, la si vuole affossare".
Cosa chiede alle istituzioni?
"Di distinguere tra uso ricreativo e professionale. Bastava vietare l’uno senza criminalizzare l’altro. Questa legge blocca un’intera filiera agricola e toglie lavoro ai giovani. Qui la canapa è economia, scienza, cura della terra".
Ottavia Firmani