"Noi, cicliste in fuga per la pace"

Gli studenti a confronto con le atlete afghane scappate dal loro Paese: "Da un anno qui, in cerca di futuro"

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di Angelica Malvatani

Si guardano intorno con gli occhi spalancati, ammirano le scuole fermane, si stupiscono di vedere sui banchi maschi e femmine insieme. Sono le giovane donne fuggite dall’Afghanistan in mano ai telebani, ospiti nelle della Commissione regionale per le pari opportunità, presieduta da Maria Lina Vitturini. Ieri erano a Fermo, per incontrare gli studenti del liceo classico Annibal Caro e dell’Itet Carducci Galilei (nella foto), sono atlete dai 16 ai 22 anni, amavano gareggiare in bicicletta, facevano parte della nazionale afghana e per questo sono state prese di mira dal regime che non consente certi sport alle donne. "Veramente non possono nemmeno più andare a scuola – racconta la giornalista Francesca Monzone – hanno perso il dono di poter studiare e sentono di non avere futuro. Sono arrivate a Roma, ormai più di un anno fa, vivono a L’Aquila e sperano di poter studiare per poi tornare nel loro paese, qualcuna è stata meno fortunata, c’è chi è stato ferita con un’arma da fuoco proprio per punizione e non ha più potuto gareggiare".

A Fermo le ha volute la Commissione comunale pari opportunità presieduta da Gaia Capponi che spiega: "Siamo felici di averle qui ci piacerebbe che anche nel fermano potessero essere ospitate esperienze tanto forti e importanti, arricchiscono tutti noi ed era doveroso far loro incontrare anche i nostri studenti perché insieme condividano la bellezza di essere liberi, anche di studiare e di vivere in pieno la loro vita". Mahanz è la più giovane, 16 anni appena, non vede la sua famiglia da tanti mesi, sa che sono in pericolo e vorrebbe riaverli vicino: "Sono molto felice di essere qui, non è stato facile venir via dall’Afghanistan, eravamo molto in pericolo. Per fortuna siamo state accolte benissimo in Italia, adesso studio l’italiano e vado a scuola, è importante studiare. Da noi è molto difficile per le ragazze, fare sport, curarsi, vivere, è diventato impossibile". Poi ci sono Arifa che sogna di fare il medico e salvare vite perché in Afghanistan non c’è il diritto alla salute per tutti e di sicuro non c’è per le donne. C’è Habiba che sorride e sente il vento tra i capelli, il bici, così si costruiscono ponti di pace.