Carife, la verità di Lenzi. "Con più tempo avremmo salvato la banca"

L'interrogatorio dell'ex presidente del cda della Cassa

Carife, l’ex presidente del Consiglio d’amministrazione Sergio Lenzi (Foto Businesspress)

Carife, l’ex presidente del Consiglio d’amministrazione Sergio Lenzi (Foto Businesspress)

Ferrara, 11 dicembre 2018 - «Ci sarebbe servito più tempo. Per capire il nostro margine di operatività, ossia lavare i panni sporchi in casa nostra, e poi intraprendere un percorso che avrebbe dovuto trasformare Carife in una banca che avrebbe retto le sfide del futuro». Così l’ex presidente di Carife Sergio Lenzi ieri davanti al collegio in qualità di imputato. I giudici dovranno decidere se, come sostenuto dalla pubblica accusa, l’aumento di capitale di 150 milioni di euro del 2011, deciso e realizzato dal consiglio di amministrazione della banca presieduta dallo stesso Lenzi, abbia o meno creato il dissesto finanziario della banca poi fallita.

Lenzi, nel rispondere alle numerose contestazioni dei pm Barbara Cavallo e Stefano Longhi, si è tolto anche qualche sassolino dalle scarpe. Spiegando, ad esempio, perché fu realizzata l’operazione di acquisto di azioni della banca Valsabbina. «Fu un’espressa richiesta del consigliere Teodorico Nanni che riteneva che l’acquisto di quelle azioni avrebbe significato mettere in salvo una nostra controllata:la banca di Credito Romagnolo».

L’ex presidente risponde anche sulla questione Siano. «Fui nominato presidente il 27 aprile del 2010 – dice –, ma solo due settimane dopo, quando fui convocato da Bankitalia, venni a conoscenza di quale fosse la situazione reale dell’istituto e quali le sue debolezze. In quella riunione mi fu chiesto di approfondire bene la situazione Siano, che al momento del mio arrivo era una posizione in bonus. Mi chiesero anche se c’erano denunce nei loro confronti». L’ex presidente Carife tenta di dare anche un ordine cronologico alle sue azioni, cercando di fare chiarezza sulla sua posizione: «E’ solo nell’estate del 2010 che, in una seduta del Cda, l’allora direttore generale Giuseppe Grassano ci comunicò che occorreva operare una svalutazione da 33,5 milioni di euro del gruppo Siano. Una notizia inaspettata».

Un’operazione, afferma ancora in aula l’ex presidente, che attivò immediatamente Bankitalia che a quel punto chiese anche l’aumento di capitale dell’istituto ferrarese «perché – afferma – il patrimonio era troppo esposto». L’accusa gli chiede poi conto di un altro fatto: se fosse stata fatta un’informativa all’interno della banca per fornire specifiche indicazioni a chi doveva piazzare i titoli emessi con l’aumento di capitale, «secondo quanto espressamente richiesto dalla stessa Vigilanza». «Mai letto circolari», replica l’imputato che parla anche di un tentativo, poi fallito, di trovare, tramite Mediobanca, un partner che rendesse più solida la banca facendola rimanere però indipendente.