Terremoto nel Pd: dopo la sconfitta lasciano Vitellio e la Baraldi

Mentre Fabbri esulta (e oggi si insedia), la segretaria comunale rassegna le dimissioni. E quello provinciale è già scaduto

Fabbri nuovo sindaco di Ferrara (Foto Businesspress)

Fabbri nuovo sindaco di Ferrara (Foto Businesspress)

Ferrara, 10 giugno 2019 - «Finalmente ci siamo liberati dei comunisti!». Nel messaggio vocale di Whattsapp, la voce è squillante e emozionata: «E’ don Luca, il parroco del Cisòl!» dice, brandendo in alto lo smartphone perché tutti sentano, il militante del Carroccio. Ferrara si riscopre leghista: perché, nella vittoria della coalizione che sostiene Alan Fabbri – con Forza Italia, Fratelli d’Italia, e una civica che al posto della camicia verde indossa l’abito blu – nessuno ignora chi abbia messo la benzina nel motore. Né, ora, che la macchina fosse lanciata a pieno regime da tempo: il segnale era stato esplicito alle Politiche del 2018, al primo turno il candidato del centrosinistra Aldo Modonesi era riuscito ad artigliare il ballottaggio, ma lo scarto di 17 punti è risultato troppo grande da colmare. La città è troppo vicina alle spiagge, l’elettorato 5Stelle troppo disinteressato alla sfida altrui, e sfonda Alan Fabbri, nonno partigiano e mamma dalle vecchie simpatie comuniste gettate alle ortiche per amore del figlio che già a 14 anni teneva in stanza il poster di Bossi accanto a quello di De Andrè. Al ‘sindaco con il codino’ (particolare inviso solo a Silvio Berlusconi, che nel 2014 gli chiese di tagliarlo, come viatico alla candidatura alle Regionali) è bastato confermare i 37mila voti del primo turno per salire, trionfalmente, sullo Scalone.

Ad attenderlo, «la classe produttiva, i giovani e le signore anziane»: questo, per ammissione dello stesso Fabbri, lo spaccato del suo elettorato. Non gli eredi dei Lingoni, i celti provenienti dalla Gallia che nel 400 avanti Cristo avevano popolato la sponda emiliana del Po: piuttosto un mix, moderno ed eterogeneo, di moderati di centro, di ragazzi folgorati da Salvini e di appassionate delle tombole agli stand del Pci. Ma il numero che esce, stavolta, è il 56,7: il numero della storia, per il centrodestra. Che conquista due città (Ferrara e Forlì) considerate non solo storiche roccaforti di una sinistra, ma ora anche avamposto per l’assalto alla Regione.

Nella Ferrara che dunque non si scopre, ma si manifesta leghista (in alcuni quartieri ‘rossi’ Fabbri tocca il 60%), il centrosinistra e in particolare il Pd deve subito leccarsi le ferite. «Razionalmente non era possibile colmare il gap – il commento del sindaco uscente di Ferrara Tiziano Tagliani –: i motivi della sconfitta sono legati a un Paese intero che non si è sentito sufficientemente tutelato, a situazioni locali come i 22mila risparmiatori azzerati o la campagna mediatica che la Lega ha lanciato già anni fa». Null’altro, oltre al ‘vento nazionale’ (in realtà, una corrente artica che risparmia Reggio, Modena, Cesena e persino Rovigo); la segretaria comunale del Pd Ilaria Baraldi ieri si è dimessa, quello provinciale Luigi Vitellio scrive che «il mandato è scaduto già in aprile». Un sostanziale azzeramento, che pur autoassolvendosi dal ritardo con cui a Modonesi, solo a inizio marzo, è stato consentito di gettarsi nella mischia, dopo un grottesco valzer di candidati civici fatti in casa, elevati alle cronache e presto smontati quando se ne scopriva l’inconsistenza. Uno di loro, sedotto e abbandonato, è stato tra i primi, lunedì notte, a scoprirsi anche lui leghista, correndo a brindare con il nuovo sindaco. Salutato dai suoi supporter, vecchi e nuovi, con lo stesso coro che i napoletani riservavano a Maradona: «Ehi mammà, ho visto Alan Fabbri, mi scoppia il corazòn».