L’Ebraismo, la Torah e il rinnovamento

Grande partecipazione in via Mazzini al convegno nell’ambito della Giornata europea della cultura

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Cosa significa ‘Rinnovamento’? Il tema della Giornata Europea della Cultura Ebraica (con Ferrara città capofila) è volutamente vago, fintanto indefinito e, quindi, molteplice. Quasi a intendere che il concetto di rinnovamento debba fondarsi, in primis, su una fondamentale istanza pluralista: la democrazia. Democrazia di idee, di culture, di punti di vista, fonte di dibattiti e dialoghi. Ed è proprio sulla base del dialogo che si è svolto il convegno di ieri alla Comunità Ebraica di Ferrara.

Moderati da Shemuel Lampronti, ognuno dei relatori, già dai saluti istituzionali, ha proposto una sua diversa interpretazione della parola ‘rinnovamento’ in ambito ebraico. Così, dopo gli interventi del presidente della comunità ebraica di Ferrara Fortunato Arbib, del presidente Meis Dario Disegni, del prefetto Rinaldo Argentieri, dell’assessore Marco Gulinelli e della presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Noemi Di Segni, è iniziata la tavola rotonda. "Rinnovamento – introduce Rav Luciano Caro, rabbino capo di Ferrara – vuol dire rinnovarsi nel solco della tradizione". Che significa? Che già "nella Torah, se sappiamo interpretarla, c’è tutto". Il presupposto è questo: "quando parliamo di rinnovamento, non pensiamo a inventare qualcosa di nuovo, ma ad affrontare il messaggio della Torah, per ricavare indicazioni precise valide per ieri, oggi e domani. La Torah è il libretto d’istruzioni della vita umana".

Si è parlato, poi, di ‘Innovazione e tradizione nell’apporto ebraico alla cultura europea’ con il professore di ebraistica Giulio Busi. L’ebraismo – certo – è sempre stato di minor portata, soprattutto se rapportato alla demografia: "questo non vuol dire – spiega Busi – che la qualità dell’apporto ebraico sia minore". Ancora una volta, la cultura ebraica si dimostra, come ha ricordato l’ultimo relatore, Gadi Luzzatto Voghera, "fondamentale tassello per capire la storia di questo Paese (ma anche dell’Europa ndr.)". Ferrara, nel suo piccolo, dimostra come l’ebraismo abbia contribuito a più generali sviluppi culturali, tanto che papa Pio V temeva la libertà concessa dagli Estensi agli ebrei ferraresi: "la politica dei duchi – spiega la storica Laura Graziani Secchieri – fu troppo filoebraica e filofrancese perché il papa non avesse a cuore di ridurre all’impotenza quei sudditi che sembravano aver promosso Ferrara come patria della libertà religiosa".

Addirittura, attribuì la colpa del terremoto del 1570 all’eccessivo favore di Alfonso II per gli ebrei. D’altronde, il mondo ebraico è sempre stato legato alla vita sia religiosa che laica del Paese, anche se – come dice Giulio Disegni - è solo con la legge Rattazzi del 1857 (che regolava i rapporti tra Stato e comunità ebraiche) che è stata tutelata "la specificità del mondo ebraico". Ma veramente prioritaria, manco a dirlo, è stata la Costituzione Italiana del 1948, in particolare l’articolo 8. Fatto che ci riporta alle parole di Noemi Di Segni: "Ai futuri eletti – riferita alle prossime elezioni - chiediamo fermamente coerenza, la difesa dei valori fondanti, tutela degli assetti costituzionali, rafforzamento dell’unità europea, di affrontare l’odio e l’antisemitismo in modo unitario, perché il rinnovamento politico, se basato su un approccio riduzionista, rischia di divenire abisso".

Francesco Franchella