Ferrara, 18 luglio 2016 – «L’equivoco secondo cui basta accogliere per integrare ha mostrato la sua totale inconsistenza». Dal suo buen retiro di Celle Ligure, Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara e Comacchio, non cede al politicamente corretto.
Dal sondaggio realizzato da Ipr Marketing risulta che il 54 per cento degli italiani ritiene i musulmani poco o nulla propensi a integrarsi: concorda?
«Un conto è accogliere, un altro è integrare. L’integrazione ha bisogno di reciprocità: si integra chi vuole essere integrato. E poi serve un’intesa di fondo su leggi e valori. Non avremo mica paura a dire che la società è retta da leggi! La mia diocesi è assalita e si lascia assalire perché è un popolo ospitale, ma l’ospitalità fatta in questo modo non creerà alcuna vicinanza. Poi ci stupiamo se chi non è integrato, perché non è aiutato o non si è lasciato integrare, commette i crimini orribili cui stiamo assistendo».
Lo stesso sondaggio rivela che, dopo gli ultimi attacchi terroristici, il 70 per cento dei giovani è preoccupato del futuro.
«Un dato che mi colpisce ma non vedo tracce consistenti di una preoccupazione che tocchi il fondo della questione: se riguarda la necessità di cambiare il nostro stile di vita, si tratta di una preoccupazione che vale in ogni tempo di crisi. Qui la questione è più radicale e cioè che siamo di fronte a un attacco frontale alle radici della nostra esistenza».
Quali i punti da chiarire per una vera integrazione con l’Islam?
«Formulata in termini ragionevolmente minimalisti, al centro ci sia almeno una concezione condivisa del valore della persona, della sua libertà e della sua dignità! Ci sono regole di fondo alle quali sottostare, altrimenti non ci si incontra. Senza questo, è inutile far scrivere con i gessetti colorati ai bambini di Bruxelles che ‘noi siamo forti e vinceremo’».
Secondo lei siamo di fronte a un conflitto di civiltà?
«Non sono in grado di dirlo. Io da vescovo ho la responsabilità di far rinascere il senso della fede perché essa accompagna a vivere la vita in modo dignitoso anche in circostanze terribili. Il punto è che abbiamo ammazzato Dio nel cuore degli uomini».
Non mi sembra manchi il senso religioso: questi terroristi agiscono invocando Allah!
«Ma questa professione di fede potenzia intelligenza, cuore e sensibilità dell’uomo? Rispetta la posizione altrui? Una religione che limita la libertà degli altri io non la chiamo neanche religione. Una ideologia che pone come missione la distruzione dell’altro non ha la dignità di essere considerata una forma di cultura».
Si tratta di schegge impazzite?
«Non ho la competenza ma di fronte a queste migliaia di morti, in uno stillicidio di attentati che va avanti da anni, dico solo: reagiamo uniti».
Non crede sia un errore minimizzare la componente islamica o islamista degli attentatori?
«Mi diceva un amico gesuita: ostinarsi a trattare il cancro come fosse un raffreddore rende responsabili della malattia. Serve il coraggio di dire le cose col loro nome».
Crede anche lei, come il rabbino Laras, che l’Occidente sia ‘fiaccato e inavvezzo a considerare il ricorso alla forza legittima’?
«Laras è uomo di grande cultura e formula ciò che io ho detto tante volte: l’Occidente ha più paura della religione cristiana e dell’ebraismo, che lanciano ponti, che dell’Isis».
Cosa fare, dunque?
«Faccio totalmente mia la ludicissima lettura di Laras che ho letto sul Qn: siamo circondati da mediocrità a tutti i livelli, non ci sono più leader che rappresentino le istanze profonde dell’uomo e della società. Siamo sotto un attacco radicale al quale bisognerebbe rispondere con una ripresa di coscienza della propria identità umana, prima che cristiana. Non vedo questo. E il profluvio di cose inutili dette da molte delle presunte autorità in questi giorni lasciano il tempo che trovano».
Cristiano Bendin