"Qui la ferita della Shoah è ancora aperta"

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di Alan Fabbri (*)

Un pensiero particolare lo esprimo per Franco Schoenheit (foto), ex deportato a Fossoli, poi a Buchenwald: circa un anno fa ci ha lasciati. Schoenheit è stato prezioso testimone di un tempo maledetto. Una mano santa lo ha protetto, insieme al padre Carlo e alla madre Gina Finzi. La nostra Ferrara, così duramente lacerata da questa stagione infernale, violentemente travolta dalle leggi razziali e poi da una spirale crescente di violenza. Penso ai bimbi cacciati dalle scuole, alle parole del ferrarese Cesare Finzi, che in questi giorni, da Faenza, ha offerto la sua testimonianza anche alle classi del nostro territorio. Penso ai professori licenziati ed espulsi, alle colonne di dimostranti in divisa fascista dinanzi ai templi, ai beni razziati. Alle famiglie lacerate. La paura, l’incredulità. E’ difficile immaginare fino a che punto si sia spinta la follia del periodo.

Eppure è stato e questa verità va detta. Voglio ricordare un’altra storia ferrarese di quel periodo, una figura autorevolissima eppure troppo spesso dimenticata, quella di Enrica Calabresi, nata proprio a Ferrara, una delle più grandi scienziate italiane del XX Secolo.

Nonostante questo, per decenni quasi cancellata, dimenticata. Ha percorso territori della scienza e della ricerca che erano stati preclusi alle donne. Era un’entomologa di livello nazionale, una studiosa autorevole, poliglotta. La sua competenza e il suo talento le hanno dato accesso a contesti all’epoca solo riservati agli uomini. Ma nel 1933 – quindi ancora prima delle leggi razziali – è stata costretta ad abbandonare il suo lavoro all’università per lasciare il posto a un docente che sarebbe diventato un convinto assertore del razzismo spacciato come scienza.

Qui la ferita della Shoah è ancora più aperta: la nostra è infatti una città che ha intrecciato la sua storia e la sua cultura alla presenza ebraica. Ed è significativo e di grande valore vedere come la nostra comunità sia oggi anche comunità di memoria.

Forse alla domanda sul ‘come’ e sul ‘perché’ si arrivò all’Olocausto non riusciremo mai a dare risposta, certo però dobbiamo dare risposta alla domanda storica, alla ricostruzione di ciò che è stato, alla sua divulgazione. Perché la storia possa sempre contare su testimoni dei testimoni. E questo presuppone la trasmissione, di generazione in generazione, del ricordo.

L’insegnamento ci viene dallo stesso ebraismo: nell’ “Haggadah” è scritto che ognuno deve leggere il racconto della storia dell’Esodo dall’Egitto ritenendosi egli stesso uscito dall’Egitto, a significare che la storia è essenza della vita quotidiana.

La memoria è quindi un compito storico che spetta a tutti noi. Nella sua stessa radice ci sono i concetti di ciò che rimane, che perdura. Sta a noi tenerla viva e preservarla nel tempo.

(*) sindaco di Ferrara