Tartarughe, studio Unife per salvarle

L’ibridazione, infatti, è un fenomeno che si sta diffondendo ma potrebbe dare vita ad esemplari poco fertili

Migration

Le tartarughe marine sono i rettili viventi più antichi al mondo, ma oggi la loro sopravvivenza è a rischio. Sei delle sette specie esistenti, infatti, sono classificate come minacciate o in via di estinzione. Per proteggerle è necessario conoscere meglio gli effetti dell’accoppiamento interspecie, o ibridazione, che potrebbe dare vita a esemplari poco fertili o sterili.

Proprio questo fenomeno è al centro dello studio di TurtleHyb, il progetto condotto all’Università di Ferrara dal professor Giorgio Bertorelle e dalla dottoressa Sibelle Torres Vilaça, del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie.

Intervistata di recente dall’Horizon Magazine, la rivista divulgativa dell’Unione Europea dedicata ai progetti scientifici innovativi finanziati dall’UE, la dottoressa Torres Vilaça ha parlato delle cause e delle implicazioni dei processi ibridativi in questi esemplari di testuggine marina: "Attività come il bracconaggio, il commercio delle uova e il cambiamento climatico hanno reso via via più rara la possibilità che due esemplari appartenenti alla stessa specie possano incontrarsi nel corso della loro vita" spiega la dottoressa, e continua: "Così oggi accade, ad esempio, che esemplari di Eretmochelys imbricata e Caretta caretta, due specie che dal punto di vista evolutivo ‘distano’ circa 30 milioni di anni, si stiano nuovamente incrociando sulla costa nord-est del Brasile. Un fenomeno decisamente interessante: se paragonato ai primati, sarebbe come immaginare un’ibridazione tra umani e lemuri".

Come poter studiare a fondo un fenomeno che coinvolge diverse generazioni di esemplari, in animali che vivono mediamente 50 anni e che trascorrono gran parte della loro esistenza in mare? Grazie ai recenti progressi tecnologici nel campo delle biotecnologie, e in particolare ai sequenziamenti di nuova generazione, oggi la comprensione dell’ibridazione passa attraverso lo studio del Dna:

"Con il progetto TurtleHyb analizziamo il genoma completo degli esemplari di Eretmochelys imbricata e Caretta caretta e lo confrontiamo con quello degli individui ibridi", racconta la dottoressa Vilaça. "Dall’analisi del genoma possiamo dedurre se una tartaruga è un ibrido di ’prima generazione’, oppure se è un re-incrocio tra un individuo ibrido e uno geneticamente simile al suo genitore. In altre parole, possiamo ricostruire la storia evolutiva e cercare i geni che potrebbero essere stati ereditati".

Un simile approccio può contribuire a chiarire se l’ibridazione sia un evento ricorrente nella storia delle tartarughe, e se abbia effettivamente conferito vantaggi di sopravvivenza attraverso l’importazione di particolari geni. Il team Unife sta così esaminando quanto gli eventi di ibridazione verificatisi nella storia antica delle tartarughe possano aver contribuito al loro genoma.

"Dai primi risultati ottenuti, sappiamo che circa un terzo delle femmine di tartaruga embricata presente nei siti di nidificazione a Bahia, in Brasile, sono in realtà ibridi di tartaruga embricata-caretta. Perché studiamo proprio le popolazioni di Bahia? Perché in quell’area le stagioni di nidificazione delle due specie sono sovrapposte", chiarisce la dottoressa. "Tenendo conto che le due specie maturano tra i 20 ei 40 anni, e che finora sono state osservate due generazioni ibride, è plausibile che gli incroci siano iniziati prima del 1980".

L’incrocio ripetuto delle due specie potrebbe influenzare le prospettive riproduttive e di sopravvivenza delle popolazioni future.