
L’anziana donna e la sua badante vennero colpite al risveglio senza pietà nell’abitazione di via Madonnina. Inespresso l’ultimo appello del figlio (indagato e archiviato), morto nel 2023: "Troppi errori, riaprite il caso" .
Tiriamo indietro l’orologio di vent’anni: 2004, l’anno bisestile del XXI secolo. Il 4 febbraio Mark Zuckerberg inventò Facebook e da quel giorno un pezzetto della nostra esistenza diventò ’virtuale’, condivisa con gli amici del social. Fu anche l’anno della scomparsa della piccola Denis Pipitone e quello che sconvolse Madrid con una serie di attentati ai treni. Vent’anni fa la parola ’femminicidio’ non era usata come oggi, ma per il nostro territorio fu un anno devastante. Se il 24 novembre a Jolanda di Savoia veniva aggredita nel sonno Giada Anteghini, qualche mese prima, il 4 maggio, la minuscola frazione di Boccaleone d’Argenta restò ammutolita. Due donne massacrate al risveglio da una barbara esecuzione. Elvira Moretti, rodigina di nascita, 90 anni festeggiati il 20 di quel febbraio, e la sua badante, Agnieska Barbara Radomska, donna polacca di 47
anni compiuti il giorno di San Valentino. Cinque coltellate alla
schiena di quest’ultima, due all’anziana semi inferma nella loro abitazione di via Madonnina, civico 15. Oggi, come il caso di Giada – che abbiamo raccontato alcuni giorni fa –, anche quello di Boccaleone resta un mistero, con il finale mai scritto. Mancano i nomi dei responsabili di quella carneficina, con i segni di una disperata difesa rimasti sulle mani di Barbara, la prima ad essere aggredita sull’ingresso. Mentre la padrona di casa, ancora assonnata, venne assassinata senza pietà al piano di sopra. Quel 4 maggio, fu il figlio della novantenne, Mario Bonora, a scoprire i cadaveri. "Ero rientrato dal lavoro per il pranzo – ricordò al Carlino – e non potrò mai dimenticare quella scena. Il corpo di Barbara steso a terra in cucina, di fianco alla tavola con la colazione già pronta. Il corpo di mamma era invece al piano di sopra, di fianco al letto. Era vestita, pronta a scendere per la colazione". Bonora fu il primo sospettato e dal pomeriggio a notte fonda di quel martedì, venne torchiato negli uffici della squadra Mobile. Dodici ora filate. Ma per quel filone di inchiesta il suo alibi era intoccabile. L’uomo, descritto come un abitudinario, usciva sempre alle 7.30: il cartellino dell’azienda dove lavorava, era stato timbrato regolarmente, in più il suo titolare e i colleghi l’avevano visto. Bonora, seppur personaggio chiacchierato, non venne mai indagato, almeno fino al 26 settembre 2006, altro filone investigativo, questa volta dell’Arma. Contro di lui non vennero mai riscontrate prove. La pistola fumante, insomma, non c’era, e anche l’ultima perizia, quella sul Dna ritrovato sul luogo del delitto, gli diede ragione. Da allora la sua fu l’unica voce nel silenzio. "Non è mai stato trovato nulla – disse ancora al nostro giornale –, dopo cinque anni di calvario ero crollato. Non riuscivo più a fare niente, me ne stavo tutto il giorno sul divano". Negli anni deflagrò anche la pista polacca, legata al racket delle badanti (nel mezzo pure una rogatoria internazionale), abbandonata forse troppo presto. L’inchiesta, travolta da pesantissime critiche tra Procura e Medicina legale, fu costellata da errori, mancanze, litigi tra polizia e carabinieri prima di essere definitivamente archiviata nel settembre 2008. "Forse – disse Bonora il 13 luglio 2014 – si sarebbe potuto fare di più. Magari lavorando sulle telefonate minatorie che Barbara aveva ricevuto e che partivano da Argenta. I sospetti ci sono. Vorrei che il caso venisse riaperto e che si cercasse ancora". Un desiderio di verità rimasto però inespresso. Mario Bonora, all’età di 73 anni, è morto a giugno dello scorso anno.