Suicida a 16 anni: "Colpa dei miei genitori". La difesa della mamma

Il secondo round dell’udienza preliminare che deve decidere se processare i genitori della ragazzina che il 17 giugno del 2014 si gettò dal tetto del liceo classico Morgagni

Suicidio al liceo classico, in trecento alla fiaccolata per la 16enne (foto Frasca)

Suicidio al liceo classico, in trecento alla fiaccolata per la 16enne (foto Frasca)

Forlì, 14 aprile 2016 - Si chiamava Rosita. E coi suoi sedici anni il 17 giugno del 2014 si gettò dal tetto della sua scuola, il liceo classico Morgagni di Forlì. Poco prima, sul suo smartphone, aveva registrato un videoselfie. Un lascito terribile. Angoscioso. Una confessione estrema con cui accusa i suoi genitori: «Se mi ammazzo, è colpa loro. Mi hanno maltrattata per anni. Spero che vengano condannati per la mia morte». Da restare senza fiato.

Ieri in tribunale a Forlì è andato in scena il secondo round dell’udienza preliminare che deve decidere se processare o no i genitori 50enni di Rosita, lei insegnante, lui senza occupazione, accusati di istigazione al suicidio. Nella scorsa udienza la madre ha chiesto di parlare. Una deposizione accolta dal giudice Monica Galassi.

La donna s’è difesa. Punto per punto. Una testimonianza fiume, che di fatto ripercorre 16 anni di vita. Ieri altra difesa ad oltranza della donna, con domande del difensore – l’avvocato Marco Martines – e del giudice stesso. Poi la seduta è stata aggiornata. Si tornerà in aula il 29 aprile.

Nel video registrato sul telefonino Rosita accusa i genitori di averla ripudiata, segregata, trattata come un rifiuto: «Non mi facevano mai uscire. Mi dicevano che non valevo niente. Che ero brutta e grassa. E che ero nata indesiderata. Ero stata un errore e se non fossi nata per loro sarebbe stato molto meglio. Adesso mi hanno negato di andare in Cina a studiare. Ieri sera ho detto che mi ammazzavo. E loro mi hanno risposto: ‘Bene così ci liberiamo’...».

«Rosita segregata? Con lei ho sempre cercato il dialogo... Sia io sia mio marito le abbiamo sempre concesso tutto ciò che voleva... Aveva il suo telefonino, riceveva le mail e noi non le controllavamo nulla... Non avevamo neanche la password... Gli amici? Rosita poteva vedere sempre chi voleva...»: questa la difesa della madre, proseguita con gli stessi toni anche ieri.

«Per me e mio marito Rosita è sempre stata al centro della nostra attenzione... Mai e poi mai le abbiamo fatto del male. La Cina? Si era ammalata. Doveva curarsi e in Cina non avrebbe potuto farlo...».