Imola, neonata morta dopo il parto. Assolti tre medici

La piccola rimase soffocata dal cordone ombelicale

Sala parto (archivio Fotocastellani)

Sala parto (archivio Fotocastellani)

Imola, 1 luglio 2019 - Sono stati assolti con formula piena, perché il fatto non sussiste, i tre medici dell’ospedale Santa Maria della Scaletta, accusati di omicidio colposo per la morte, avvenuta nel luglio del 2014, di una neonata, soffocata dal cordone ombelicale e morta 45 minuti dopo essere stata fatta nascere con un cesareo d’urgenza.  Per il giudice di Bologna, Nadia Buttelli, e per la stessa Procura che aveva chiesto l’assoluzione, è stata dunque dimostrata la correttezza del comportamento degli imputati, anche se le motivazioni della sentenza si conosceranno solo tra 90 giorni.  Era il 14 luglio quando la donna, che aveva le contrazioni, decise di recarsi in ospedale. E se, in un primo momento, la situazione sembrava sotto controllo con il passare delle ore sopraggiunsero complicazioni che spinsero i medici a operare la signora. Entrata in sala operatoria, la donna venne infatti sottoposta a parto cesareo. 

La bimba, nata viva, fu subito sottoposta a una lunga procedura di rianimazione da parte dei sanitari, ma dopo oltre mezzora arrivò la resa: la piccola non ce l’aveva fatta. I genitori decisero quindi di rivolgersi all’autorità giudiziaria per avere chiarezza.

Inizialmente  due dei medici finirono indagati assieme ad altre cinque persone dell’equipe che si era occupata del caso, poi la Procura chiese l’archiviazione per tutti sulla base di una consulenza in cui era stato stabilito che i sanitari non avevano omesso nulla nei monitoraggi. 

Una seconda perizia medico-legale, disposta in sede di opposizione all’archiviazione su richiesta dei genitori – una coppia albanese che non si è costituita parte civile nel processo – aveva però portato il pm Augusto Borghini a stralciare la posizione degli altri indagati, che poi sono stati archiviati, e a indagare un terzo medico.  Questo perché, secondo il consulente che aveva svolto la seconda perizia, la madre avrebbe dovuto essere sottoposta a un tracciato continuo già dal pomeriggio (il cesareo d’urgenza venne effettuato nel corso della notte), come previsto dai protocolli regionali sulle fasi di travaglio. 

Una ricostruzione contestata dai difensori dei tre medici, secondo cui il travaglio non era iniziato e quindi non c’era bisogno di un monitoraggio costante. E proprio la tesi dei difensori sembra aver convinto sia la Procura, sia il giudice, che ha infatti assolto i dottori con formula piena.