"Qui da me Nataliia e i bimbi sono al sicuro"

Dina Nediani ospita a casa sua l’amica, fuggita dall’Ucraina con i figli di 5 e 7 anni. "Quando ho sentito della guerra le ho detto subito di partire"

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di Gabriele Tassi

Sul divano verde acqua si fan le chiacchiere come fra vecchie amiche. I bimbi giocano in camera, mentre in cucina il ragù sbotta sul fuoco. In casa di Dina Nediani, Imola e l’Ucraina si sono unite. Lei, 75 anni, residente in zona Rivazza, da lunedì ospita Nataliia Yakoviichuk e i suoi due figli. E l’atmosfera è quella di una famiglia unita. "Ci conosciamo da vent’anni – dice Dina –, appena ho saputo della guerra non ho esitato un attimo: le ho detto di scappare subito e venire qui". La 42enne ucraina, fino a non più di una settimana fa era ancora nella sua città, Černivci, vicino al confine con la Romania. "Ho sempre in testa il rumore delle sirene e il terrore per i bombardamenti – racconta Nataliia –, fortunatamente, dove abito io, non sono ancora arrivati".

Ma la paura è stata grande, soprattutto per i due figlioletti: Andrii di sette anni e la piccola Anhelina di cinque, occhi grandi e chiari, azzurri come il ghiaccio. Così la mamma coraggio ha deciso di portarli qui. Imparano pian piano le prime parole di italiano, mentre il Comune, tramite l’assessora con delega all’Immigrazione Daniela Spadoni, è al lavoro per il loro inserimento scolastico nella stessa struttura perché non si sentano spaesati. "Ho detto loro – prosegue Natalia – che abbiamo anticipato la nostra vacanza in Italia (che la famiglia aveva in programma per l’estate, ndr). Ma hanno già capito, e ora mi chiedono se una volta che la guerra sarà finita potremo tornare nella nostra casa sui Carpazi". Gli occhi brillano e le lacrime cominciano a scendere quando a Nataliia si chiede chi ha lasciato là. "E’ dovuto rimanere mio marito Jurii – spiega –, nonostante abbia avuto negli ultimi tempi grossi problemi di salute. Ai miei genitori e agli suoceri non ho nemmeno avuto il coraggio di chiedere di venire con me: troppo attaccati alla loro terra, come lo sono anche io, se non fosse stato per i bambini non sarei scappata, l’ho fatto per loro".

Dina però interviene. "Non devi sentirti in colpa", le dice "per i bambini si fa questo e altro". I più piccoli, tra i primi a soffrire per l’orrore della guerra. Nataliia racconta di un lungo viaggio in pullman per arrivare in Italia, in tutto 48 ore, su mezzi stipati fra anziani, donne e bambini. "Tante ragazze avevano con loro solo una piccola borsa – prosegue –, i piccoli tremavano per il freddo e per la paura". Anhelina intanto stringe la sua bambola, Darenka, fra le poche cose che la famiglia è riuscita a portarsi dietro dall’Ucraina. Per il resto, almeno qui, si tenta di vivere una vita normale fra pomeriggi al parco e pranzi, senza la paura degli aerei che fischiano sulla testa.

Parte da lontano l’amicizia fra Dina e Nataliia. Le due si conoscono quasi una ventina di anni fa, quando la ragazza ucraina, giovanissima viene in Italia per fare la collaboratrice domestica e guadagnare qualche soldo da mandare al suo Paese. "Assistevo un’anziana nelle case davanti alla Rivazza – racconta –, il rumore delle auto era la mia colonna sonora quotidiana". Nelle poche ore libere Natalia non si ferma e va a dare una mano anche nelle case vicine, proprio come quella di Dina e della signora Viviana.

Grazie a quel lavoro, Nataliia riesce a costruirsi la casa dei propri sogni e a far studiare il figlio più grande, che ora di anni ne ha 21, e sta lavorando in Germania. Il rapporto fra Dina e Nataliia non si è mai spento nel tempo, a tal punto che la ragazza ucraina e i suoi due bimbi sono diventati come di famiglia. "Ho perso mio marito Gino (Spoglianti, ndr) da poco più di un anno – dice Dina –, grazie a loro questa casa ha davvero ripreso vita".

E’ un meccanismo che ogni giorno si affina quello dell’accoglienza. "Una tradizione che abbiamo nel sangue noi imolesi – commenta l’assessora Daniela Spadoni –. Dopo la Seconda guerra mondiale arrivarono da noi tante persone dal sud, come anche dopo l’alluvione del Polesine. La parte dell’ospitalità si sta sempre più strutturando e anche le famiglie affidatarie svolgono un ruolo importantissimo". Ma non certo semplice: "Bisogna considerare sempre che si porta sopra il proprio tetto delle persone spesso traumatizzate da ciò che hanno vissute. E’ bene quindi – conclude – appoggiarsi quando possibile ai canali istituzionali".

Il clima però in casa della Nediani è sereno quando non si parla di guerra. I bimbi giocano in cortile, l’imolese ha ceduto alla famigliola la propria camera matrimoniale e l’armadio grande. Si cucina un po’ per uno, dalla carne fino a quelle tagliatelle al ragù che mettono tutti d’accordo e fanno spuntare il sorriso sui volti dei bimbi. Nella speranza che la guerra finisca. Presto.