Il Marocco in ginocchio

La voce dei lettori

Il Marocco ha chiuso i Mondiali in ginocchio davanti ai propri tifosi. La cosiddetta pratica del "taking the knee" indica esplicitamente che un unico ginocchio viene poggiato a terra. Innocuo gesto simbolico per le masse che si nutrono di calcio e TV, ma ontologicamente ricco di significati per chi l'ha ideato. L’atto in questione si ispira a quello di Martin Luther King, che nel 1964 a Selma, in Alabama, si inginocchiò a sostegno del pieno e riconosciuto diritto di voto per gli afroamericani. Nel 2016 entrò nel mondo sportivo quando Colin Kaepernick, giocatore della Nfl statunitense, lo riprese durante l’esecuzione dell’inno nazionale, in onore delle vittime afroamericane della polizia. Successivamente si diffuse in tutto il mondo anche nell'ambito militare e civile. Ma con una differenza: mentre nel passato il gesto presupponeva sostanziose valenze, nel presente viene strumentalizzato e banalizzato per veicolare ridicole battaglie ideologiche per infliggere risibili dispetti agli avversari sportivi. Parafrasando Hannah Arendt: la banalità della genuflessione! Qualsiasi dizionario spiega che la genuflessione è atto di devozione, riverenza o adorazione che si deve a Dio, o per i cristiani, al Sacramento eucaristico posto sull'altare o nel Tabernacolo. In parole semplici, un atto di auto umiliazione o di servile adulazione che sin dalla notte dei tempi, l'uomo timorato di Dio praticava dinanzi alle molteplici divinità. A giudicare dalla diffusione del "taking the knee" è possibile arguire che l'uomo moderno occidentale ha detronizzato Dio e intronizzato se stesso al rango di divinità da adorare. Gianni Toffali