di Lucia Gentili
La mafia in uno spettacolo teatrale tratto da un saggio del magistrato Nicola Gratteri al Politeama di Tolentino. Sabato, alle 21.15, e domenica, alle 18, Isabella Carloni, Antonio Lovascio e Valentina Illuminati portano sul palco "Le belle parole". Una storia ispirata a "L’inganno della mafia" di Gratteri, impegnato nella lotta alla ‘Ndrangheta, e del giornalista e scrittore Antonio Nicaso, esperto internazionale di mafie e criminalità organizzata. Il progetto teatrale è firmato dalla Carloni, con la consulenza scientifica del prof Nicaso. La produzione è di Caracò Teatro di Bologna e della compagnia Rovine Circolari, in collaborazione con EmilBanca. Si tratta di una vicenda familiare: i tre protagonisti raccontano il conflitto dell’erede maschile di una famiglia ‘ndranghetista (Salvo) tra il senso di appartenenza alla tradizione, a cui è stata costretta suo malgrado la sorella (Carmela, Isabella Carloni), e il desiderio di autonomia dalla famiglia. Qui l’amore interviene a scombinare le carte. Ma l’azione rivela anche la contrapposizione tra il fascino attraente del potere del clan e il tentativo di ribellione – espresso dalla giovane fidanzata (Eleonora, una sorta di Antigone dei nostri tempi) – alle regole omertose e violente nascoste dietro gli apparenti valori del rispetto e dell’onore. Isabella Carloni, com’è nato questo progetto?
"Ho conosciuto il prof Nicaso negli Usa, mentre insegnavo al Middlebury College. Mi ha aperto una conoscenza sul tema e sollecitato a lavorare su questo nella mia poetica, dove coinvolgo la cultura femminile, dell’inclusione. Mi ha colpito il fatto che si puntasse sulla prosopopea in un vero e proprio inganno. Da qui "le belle parole", parole dell’inganno, che fanno credere ciò che in realtà non è. I giovani, e lo dimostrano gruppi e serie tv con una sorta di eroi, subiscono una fascinazione: le false illusioni sulla ricchezza facile, del potere, anche femminile. Un potere che si paga a caro prezzo, quello della libertà. È negata l’identità. Ho indagato quindi dietro a questo aspetto".
Quale messaggio vuole dare? "Ci sono più messaggi. Lunedì ci sarà un incontro con i ragazzi delle scuole ed è importante l’impatto con le nuove generazioni. Dietro questa promessa di potere e ricchezza si nascondono meccanismi antilibertari. È una ricchezza criminale, insanguinata, che conduce a una finta libertà. Il confine tra legalità e illegalità è, ad oggi, poco chiaro. Esistono livelli di corruzione più vicini di quello che pensiamo, anche nel piccolo: foraggiano e nutrono il potere mafioso". Come il teatro può farsi strumento?
"Il teatro è la nostra vita. Non è un diversivo. Ci si salva attraverso lo studio e la conoscenza, con l’informazione e leggendo. Il teatro è il modo più leggero di conoscere, tramite emozioni, storie e racconti. È una convocazione della comunità, che si ritrova insieme. Così si generano relazioni e confronti; da qui passa la crescita della comunità. Lo spettacolo non seguirà una drammaturgia classica: non mancheranno suspense, siparietti grotteschi, quelli della piazza, del pettegolezzo. E un finale inatteso, che segue un patatrac, ma apre alla speranza".
Progetti in cantiere?
"Ne stiamo iniziando uno su Adriano Olivetti e la comunità concreta. Il Covid-19 ci ha costretto a pensare, a rimettere in sesto regole della vita civile. Dopo il lockdown è uscito il mio libro "Le irriverenti", quattro figure di donne tra il teatro e la riflessione filosofica, sempre all’insegna dell’accoglienza, dell’inclusione e dunque della diversità".