Disinformazione sempre più frequente

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Alessandro

Feliziani

Si parla spesso di “fake news” come fenomeno dei nostri tempi. In verità notizie costruite con fuorvianti finalità sono sempre esistite. Oggi, di diverso, c’è solo la velocità con cui esse si diffondono attraverso internet e i social network. Basti pensare, infatti, a cosa si può fare oggigiorno con i cellulari; chiunque sia testimone di un evento può in qualche modo sostituirsi al giornalista nel diffondere immagini o segnalare avvenimenti. È così che il pericolo di cadere nella rete della disinformazione aumenta a mano a mano che ci si discosta dall’informazione professionale, la sola capace di offrire l’analisi e la contestualizzazione dei fatti attraverso uno sguardo più profondo e nel rispetto dei valori etici di verità e trasparenza.

Lo scorso anno il Censis ha stimato in oltre 14 milioni il numero di italiani che utilizzano Facebook, Twitter e YouTube per avere notizie e uno su tre lo fa in modo esclusivo. Una scelta dovuta ad “abitudini culturali”, ma anche alla non conoscenza del sistema informativo e alla mancanza di cognizione del suo valore economico. Per questo molta gente, di ogni età, si affida a tutto ciò che è gratuito, senza riflettere su un punto: se l’informazione non la paga il fruitore finale, in edicola o in

abbonamento, qualcun altro la deve pur pagare: in genere è la pubblicità.

Guai però alla commistione tra informazione e promozione. Una tentazione, questa,

in cui cadono a volte enti a guida politica (è accaduto anche nella nostra provincia),

affidando a pagamento la diffusione di comunicati o servizi a organi d’informazione

radiotelevisiva e online locali. Per rendere tutto trasparente, sarebbe sufficiente informare sempre il lettore o l’ascoltatore sulla fonte della notizia o la committenza del servizio trasmesso, ma raramente ciò avviene. Eppure è un’elementare questione

di etica giornalistica, di correttezza amministrativa e di rispetto del cittadino,

contribuente da un lato e fruitore dell’informazione dall’altro.