Pierfrancesco
Giannangeli
immagine è nitida, perché è una delle ultime prima che
si scatenasse l’inferno che
ha cambiato la storia del nuovo secolo. Parigi, 11 settembre 2001, verso l’ora di pranzo. Si va al supermercato dalle parti di rue Caulaincourt per fare alcuni acquisti ed è sorprendente vedere quello che accade alla cassa con i clienti davanti. Dunque, quello che sta pagando ha in mano
un pacco di biscotti e una bottiglietta di succo di frutta. Prende il portafoglio e tira fuori il bancomat: la cassiera non fa una piega, lo prende, lo passa, esce lo scontrino e il cliente
se ne va. Tocca a quello dopo, che dagli scaffali ha raccolto
la miseria di un parigino (e certo…) e una busta di latte. La scena è identica, e sembrano pure tutti contenti. Sentimento che si dimentica subito dopo, quando arriva una telefonata dall’Italia: a New York gli aerei buttano giù i grattacieli e qui è scattato "Vigipirate", il piano
di sicurezza nazionale.
Ma torniamo al bancomat.
A quel tempo dalle nostre parti il pagamento in denaro elettronico era poco sviluppato, se volevi pagare cifre considerate irrisorie col bancomat ti guardavano male, talvolta ancora adesso c’è chi dice che non lo prende. Esempi fortunatamente sempre più rari, a fronte di esempi virtuosi sempre più frequenti: il mio tabaccaio e il mio barista
lo accettano senza problemi
(e per chi gira sempre con più o meno 5 euro in tasca è una manna dal cielo). Ora c’è
la legge che prevede sanzioni per chi non accetta pagamenti con bancomat e carte
di credito. Noi, utilizzatori seriali della tesserina, dovremmo essere felici. Però nella testa risuona la dichiarazione Confcommercio, secondo cui la diffusione
dei pagamenti elettronici va perseguita con l’abbattimento delle commissioni e non con le sanzioni. Hanno ragione pure loro. E allora ecco la domanda: è mai possibile che in Italia
si debba sempre raggiungere un fine di civiltà (il pagamento elettronico lo è)
con la minaccia di punizioni,
invece che con il dialogo
e con la persuasione?