Il messaggio del vescovo Marconi: "In un mondo sempre più brutale, si riscopra l’esempio di San Giuliano"

L’omelia: il primo dovere di una città universitaria è non disgiungere l’impegno di seguire virtù e conoscenza

Il messaggio del vescovo Marconi: "In un mondo sempre più brutale, si riscopra l’esempio di San Giuliano"

L’omelia: il primo dovere di una città universitaria è non disgiungere l’impegno di seguire virtù e conoscenza

"Il mio augurio per questo San Giuliano è rivolto a tutti, a partire da quanti hanno responsabilità amministrative e politiche, a tutte le autorità civili e militari. Rileggiamo con mente e cuore ben desti la Legenda fondativa della nostra identità di popolo maceratese. In un mondo che si brutalizza, il primo dovere di una città universitaria è: non disgiungere mai l’impegno di sequela di “virtute e conoscenza“". È il cuore dell’omelia del vescovo Nazzareno Marconi che ieri pomeriggio, nel giorno del patrono di Macerata San Giuliano, ha parlato dal sagrato del duomo invitando tutti, istituzioni incluse, a fare tesoro della "legenda" (dal participio latina "legenda", "da leggersi", con riferimento alla vita del santo) di San Giuliano l’Ospitaliere. "Questa celebrazione è rivolta in modo particolare alla città – ha esordito monsignor Marconi –. Il ricordo del nostro santo patrono è tramandato da una conosciutissima leggenda medievale, diffusa soprattutto nella Legenda Aurea di fra Jacopo da Varagine. Legenda non significa favola inventata, ma narrazione "da leggere" e su cui riflettere".

"Un racconto – ha detto Marconi – da conoscere e tramandare perché trasmette una sapienza popolare e di fede che fonda l’identità della nostra gente maceratese". La Legenda di san Giuliano comincia con un giovane impulsivo e facile all’ira, tanto da sfogarla nella caccia, che viveva più per liberare le sue passioni che per procurarsi il cibo. "Giuliano è un uomo solo, centrato su di sé, che rivendica voglie e diritti e non riconosce doveri e valori – ha continuato –. Quello che tutti noi rischiamo a volte di essere. Nella storia è un cervo da lui ferito a morte che lo rimprovera: "Se non impari a diventare padrone dei tuoi impulsi e desideri, finirai per compiere i peggiori delitti, fino a uccidere chi ti ha donato la vita". Giuliano allora fugge lontano dalla sua casa, nell’illusione che la radice del male fosse fuori di lui, nei fatti che gli capitavano. La Legenda insegna invece che la lotta tra bene e male, tra istinto e ragione, non dipende da ciò che è fuori di noi, ma da ciò che avviene nel nostro cuore. Giuliano, andato lontano dalla sua terra, trova una sposa e una casa. Sembra che tutto vada bene, ma mentre lui è in viaggio giungono per caso i suoi genitori, e la sua sposa li accoglie, offrendo loro ospitalità nella stanza nuziale. Giuliano torna di notte, vuole sorprendere la sua sposa di cui non ha imparato a fidarsi, vede un uomo e una donna nel letto e pensa a un tradimento, così si lancia e con la spada uccide i due. Solo allora accende la lucerna, e si accorge di avere ucciso i suoi stessi genitori. Una storia truce, ma che insegna come l’umanità possa restare primitiva e bestiale anche con una bella casa, una sposa e con armi nuove, con ricchezze che permettono di viaggiare. Basta aprire gli occhi sulle guerre ipertecnologiche che ci circondano. Non siamo forse dei bruti se spendiamo il 90% del nostro pensiero per progettare come ucciderci a vicenda, piuttosto che per trovare vie di convivenza, di giustizia e di pace?". La seconda parte della Legenda è quella che, come pellegrino penitente, porterà San Giuliano fino alle rive del Potenza dove finirà la sua vita facendo per carità l’ospitaliere e il traghettatore.

"Questa storia ci insegna che la via della ricostruzione di sé, dell’unità familiare, del recupero della pace interiore e della vera felicità, è faticosa – ha aggiunto –. Giuliano da bruto a beato, da violento a uomo felice, dovrà fare un lungo cammino, che ci viene offerto come modello e guida dalla sua storia. Si fa pellegrino per scoprire che vale più il cuore che tutto ciò che ci circonda. La seconda parte della sua vita è la via verso la beatitudine, verso la felicità". E conclude citando il fondatore della Logoterapia, Viktor Frankl, un ebreo sopravvissuto ai campi di sterminio: "La felicità si deve conseguire; è un effetto collaterale, è una conseguenza della realizzazione di un significato, della nostra dedizione ad un compito, a una causa più grande di noi o a una persona diversa da noi stessi".