"Non ci sono prove certe Devono essere assolti"

Il difensore di Arianna: "Vanno ascoltate bene le intercettazioni". L’avvocato di Orazi: "Mancano elementi per collocarlo sulla scena del delitto"

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"Ricordo alla corte d’assise due principi: verosimile non significa vero, ed è la procura che deve provare le accuse". Così ha esordito l’avvocato Olindo Dionisi, difensore di Arianna Orazi. "La chat del 16 dicembre, “ho un piano“, può provare con certezza la premeditazione di un omicidio? Ascoltate le intercettazioni – ha esortato la corte l’avvocato Dionisi -, perché sono diverse da quello che si può capire leggendo le trascrizioni. Il fatto che Arianna sapesse che Rosina era stata strozzata non vuol dire che lo avesse fatto lei. Poteva aver visto i segni sul collo. Non ci sono tracce del Dna di Arianna su Rosina. Il movente quale sarebbe? E come è morta di preciso Rosina, chi l’ha uccisa e come? Salendole sopra, strozzandola e soffocandola contemporaneamente? La simulazione di reato poi è un reato impossibile, perché nessuno ha creduto alla storia del rapinatore: i carabinieri hanno iniziato a intercettare tutti a mezzanotte. Le indagini sulla rapina non sono mai iniziate. Quanto ai maltrattamenti, i testimoni hanno riferito cose sapute da Rosina, non avevano assistito direttamente. Non ci sono prove certe. Il cellulare tolto a Rosina era in un mobiletto della casa, e in casa c’era sempre solo Rosina. Come facciamo a sapere che lei non lo usava? Non basta che un’amica l’abbia chiamata una volta e fosse staccato. Quanto all’induzione a non rendere dichiarazioni, Arianna non ne avrebbe tratto alcun vantaggio. Al figlio chiede di aspettare gli avvocati, che infatti poi invitano gli indagati ad avvalersi della facoltà di non rispondere". Per Arianna dunque ha chiesto l’assoluzione per mancanza di prove. Sulla stessa linea l’avvocato Barbara Vecchioli, per Enrico Orazi. Il difensore ha ricordato che marito e moglie conducevano vite indipendenti, ma che tutti i conti erano pagati da Enrico, che continuava a lavorare per aiutare la famiglia malgrado la sua età. "Non ci sono elementi oggettivi per collocarlo sulla scena del delitto al momento del decesso della vittima". Anche per lui, è stata chiesta l’assoluzione. "È un processo indiziario" ha detto l’avvocato Valentina Romagnoli, in difesa di Enea. "Gli indagati hanno fatto errori grossolani nel simulare la rapina" ha proseguito, glissando su quanto avesse insistito su quella ricostruzione il collega Andrea Netti persino in televisione. "Nei momenti in cui sarebbe avvenuto il delitto Enea scatta una foto del tramonto, lui e la madre ricevono messaggi e rispondono. Poi lui esce alle 18". Il difensore ha indicato gli elementi che collocherebbero la morte poco prima dell’arrivo dei soccorritori, quando Enea non c’era. "Enea non sapeva nulla dei contrasti tra madre e nonna, non gli interessava. Che motivo aveva per un gesto così efferato? In aula ha ammesso di averli coperti, non se l’è sentita di puntare il dito contro le uniche due persone che nei suoi venti anni aveva avuto vicine. Se fosse stato l’autore dell’omicidio, sarebbe stato il primo a tenere ferma la versione che lo proteggeva". Anche per lui dunque è stata chiesta l’assoluzione.

p. p.