
di Paola Pagnanelli
Voleva 500 euro per testimoniare in un processo. Per questo fatto, avvenuto nel 2014, è stata condannata a due anni di reclusione una campana, Raffaella Acampora. La vicenda parte da un incidente avvenuto a Recanati. Il muro di un edificio di proprietà della Curia aveva ceduto finendo sopra a un’auto, a bordo della quale si trovava una ragazza. La madre della giovane, proprietaria dell’auto, aveva dunque avviato una causa civile per ottenere il risarcimento delle lesioni subite dalla ragazza e dei danni alla vettura. Dato che al crollo aveva assistito una donna che abitava lì davanti, Raffaella Acampora, la recanatese l’aveva contattata chiedendole di testimoniare in tribunale. La donna nel frattempo aveva lasciato Recanati per tornare nel suo paese di origine, Torre del Greco. L’accordo era che la recanatese avrebbe pagato il biglietto per far venire a Macerata la testimone, ma quando poi a luglio del 2014 la chiamò per ricordarle l’appuntamento in tribunale, venne fuori che ci voleva un regalo in cambio di quel favore. Al cellulare rispose prima la sorella di Acampora, dicendo che era lei a occuparsi della questione delle testimonianze: in Campania, avrebbe detto, c’era la regola che bisognava fare un piccolo regalo a chi testimoniava in tribunale, in quel caso si trattava di pagare 500 euro. Poi anche Raffaella Acampora aveva confermato la richiesta, chiarendo anche che senza quel regalo non si sarebbe mai spostata per andare a Macerata a testimoniare. La recanatese si rifiutò di pagare quella somma, e la campana non si presentò in aula il giorno dell’udienza, benché fosse stata regolarmente citata. La recanatese però decise di denunciare quanto accaduto, ritenendolo un episodio increscioso. Tra l’altro, durante la conversazione con Acampora aveva messo il cellulare in vivavoce, e altre persone avevano sentito la pretesa dei 500 euro e potevano confermare le sue parole. Acampora così fu accusata dalla procura di tentata concussione, poiché come testimone era da considerare un pubblico ufficiale. Ieri mattina per lei, in tribunale a Macerata, dopo aver raccolto tutte le prove sulla vicenda si è chiuso il processo. Il pubblico ministero Vincenzo Carusi ha chiesto per l’imputata la condanna a due anni di reclusione, e questa è stata la pena stabilita dal collegio dei giudici con il presidente Roberto Evangelisti; la corte però ha ritenuto che non si trattasse di un caso di tentata concussione, ma del reato di induzione indebita a dare o promettere utilità. La condanna era stata sollecitata anche dall’avvocato Alessia Pepi, che era parte civile per conto della recanatese. Ora comunque l’imputata potrà fare appello contro la sentenza, per provare a dimostrare che le cose non siano andate come ricostruito durante il processo di primo grado.