Per fortuna che ci sono i patronati

Valentina

Capecci*

Niente di nuovo dal fronte occidentale. Avendo una rogna di tipo burocratico mi sono recata presso l’Ente preposto, dotato di addetto che smista l’utenza. Perfetto. Se non che l’addetto, con aria di smarrimento unita a un inspiegabile stupore, domandava, leggermente alterato: “Lei cosa deve fare?” con un tono, come se stesse chiedendo: “Ma lei com’è entrata in questa base militare segreta, tranciando il filo spinato?” Poiché la targa e la bandiera mi garantiscono che ho tutto il diritto di risolvere lì la questione, e non di essere trattata da spia nemica, la espongo al cerbero che mi sbarra il passo. Gli ho semplicemente spiegato, in breve e basico italiano, qual era il problema e lui, con la sofferenza di chi subisce un’ingiusta vessazione, si è messo in contatto con i piani superiori. Già, ma quale? Con l’ufficio che si occupa del settore che mi riguardava? Ovviamente no. Uno a caso. Poi un secondo, un terzo e così via, riferendo a capocchia ciò che, evidentemente, non aveva capito. Ne è seguito un simpatico siparietto, con me che gli suggerivo le parole e lui che si ostinava a riassumere il concetto, senza rendersi conto che stava comunicando tutt’altro. Così sono stata indirizzata dall’impiegato sbagliato. Il quale, dopo lunga attesa, mi ha ricevuto desolato per non potermi essere d’aiuto. Forse il collega, che però era in ferie, o quello della stanza accanto, che però era in malattia per sospetto Covid. Pertanto mi consigliava di ripassare, quando non si sa, magari telefonando, a un numero che non risponde mai, oppure... di rivolgermi direttamente a un patronato. Beh, mi si è aperto un mondo! Nei patronati sono gentili, efficienti, economici e ho risolto in un baleno. Per poco che vale ci tengo a metterlo nero su bianco: “Ragazzi, grazie di esistere!” Quanto a me: “mai più senza!” Quanto alla riforma della Pubblica Amministrazione che dire... auguri.

* scrittrice