Semifinalista al premio Strega: "Non riesco a immaginare la mia vita senza la scrittura"

Adrian Bravi di Recanati: "Essere nella dozzina fa piacere, ma a me interessa scrive re. Ho iniziato durante il militare, che ho svolto nell’anno della guerra delle Malvine"

Adrian N. Bravi è nato nel 1963 a San Fernando di Buenos Aires. Vive a Recanati dal 1987. Laureato in Filosofia all’Università di Macerata, lavora dal 2002 come bibliotecario dell’ateneo maceratese. (Foto Calavita)

Adrian N. Bravi è nato nel 1963 a San Fernando di Buenos Aires. Vive a Recanati dal 1987. Laureato in Filosofia all’Università di Macerata, lavora dal 2002 come bibliotecario dell’ateneo maceratese. (Foto Calavita)

Recanati (Macerata), 10 aprile 2024 – La sua vita è tra i libri, per i libri e nei libri. Adrian N. Bravi, nato a San Fernando, Buenos Aires, da padre di Sant’Egidio di Montecassiano e madre molisana, entrambi emigrati in Sud America, quando aveva ventiquattro anni, nel 1987, ha attraversato l’Atlantico in senso opposto rispetto ai suoi genitori per stabilirsi a Recanati, la città della nonna paterna.

Da sempre attratto dalla scrittura, nei primi anni Duemila ha iniziato a scrivere libri anche in italiano, ricevendo molti apprezzamenti dalla critica. Nel 2013 ha vinto il Premio Bergamo con “L’albero e la vacca” (Nottetempo/Feltrinelli) e nel febbraio scorso è uscito per Nutrimenti il suo undicesimo romanzo, “Adelaida” (semifinalista al premio Strega 2024), una biografia romanzata dell’artista recanatese Adelaide Gigli, costretta a lasciare nel 1978 l’Argentina per sfuggire alla dittatura dei militari che le aveva ucciso i due figli.

Bravi, essere entrato nella “dozzina” del maggior premio letterario italiano lo considera un traguardo o una tappa della sua carriera di scrittore?

"A me interessa scrivere a prescindere dai premi, cui non ho mai partecipato di mia iniziativa. Quando un mio libro è stato presentato a qualche concorso, la proposta è sempre partita dall’editore. Nel caso del Premio Strega a proporre “Adelaida” è stata la scrittrice Romana Petri".

Quando ha scoperto la passione per la scrittura?

"Ho sempre letto molto, in quanto la lettura è la palestra per poter scrivere, ma la volontà di esprimermi con miei racconti o romanzi è maturata durante il servizio militare, che ho svolto nell’anno della guerra delle Malvine, da cui ho preso spunto per il romanzo “Sud 1982”, pubblicato in Italia nel 2008 da Nottetempo".

Cosa significa scrivere per lei?

"Risponde ad una mia necessità. Non riesco ad immaginare la mia vita senza la scrittura".

Quando scrive ha in mente un lettore ideale?

"Il primo lettore sono io stesso. Ciò che scrivo deve piacere a me, devo sentirmi libero di scegliere cosa raccontare e come raccontarlo. Ovviamente tengo conto che qualcuno mi leggerà, ma non ho un lettore ideale".

Lei lavora come bibliotecario all’università di Macerata. Praticamente la sua vita è in mezzo ai libri.

"In Argentina frequentavo una scuola dei Gesuiti che aveva una bellissima biblioteca dove spesso studiavo. Ho poi frequentato un Master sui beni librari e uno dei miei primi lavori in Italia è stato la catalogazione del fondo antico della biblioteca dell’Accademia Georgica di Treia. Una bella esperienza, che ho svolto in solitudine per tre anni".

Cos’è per lei un libro?

"È una finestra aperta sul mondo, che ci aiuta a scrutare l’orizzonte. Senza la lettura avremmo una rappresentazione molto parziale della realtà".

Nei suoi romanzi ci sono situazioni spesso surreali, personaggi con piccole manie o, come ne “Il levitatore”, edito nel 2020 dalla maceratese Quodlibet, avventure tragicomiche. Sono frutto di fantasia o attinge da ricordi personali?

"La fantasia si alimenta da una base reale, spesso è un piccolo aspetto autobiografico, ampliato e trasformato in qualcos’altro o portato all’estremo".

“Adelaida” è però diverso da tutti gli altri.

"In questo ultimo libro la fantasia ha lasciato completamente il posto alla storia. Nel racconto della protagonista ci sono le tragedie vissute dall’Argentina e anche i ricordi della mia fanciullezza. Unico aspetto che lo unisce ai miei precedenti romanzi

è la ricerca sulla lingua e in parte anche il tema delle migrazioni".

Nel libro racconta che Adelaide Gigli parlava con lei in spagnolo, ma si esprimeva in italiano quando doveva ricordare i fatti tragici della vita.

"È il potere delle lingue di mascherare i propri ricordi. Tema, questo, cui ho dedicato “La gelosia delle lingue”, un saggio edito nel 2017 da Eum".

Durante i suoi ultimi anni a Recanti la signora Gigli si definiva “esule nella città natale”. Anche lei, che vive in Italia da 36 anni, sente il suo cuore battere in Argentina?

"Sono diviso tra i due mondi ed entrambi hanno un cuore. I primi tempi in cui scrivevo in italiano pensavo in spagnolo. Ora non più".

Questa candidatura al Premio Strega ha cambiato la sua vita?

"Mi squilla continuamente il cellulare, cosa cui non ero assolutamente abituato".