"A caccia del segreto dei violini Stradivari"

Un gruppo di esperti coordinati da Carlo Andrea Rozzi dell’istituto nanoscienze del Cnr ha analizzato gli strumenti del grande liutaio

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di Stefano Marchetti

Dicono che Antonio Stradivari scegliesse il legno per i suoi violini in base alle fasi lunari, e che facesse rotolare i tronchi per valutarne il suono. Qualcun altro sostiene che li esponesse al sole per caricarli di energia. Anche se scorrono i secoli, il mito del liutaio Stradivari da Cremona (vissuto la bellezza di 93 anni fra Sei e Settecento) non accenna a perdere di fascino. E i suoi violini – anche secondo i grandi musicisti che hanno il privilegio di poterli imbracciare – hanno un suono perfetto, decisamente speciale. Ma è realmente così? Pare proprio di sì, in base ai risultati di un’impegnativa ricerca condotta da una squadra multidisciplinare, coordinata da Modena dal dottor Carlo Andrea Rozzi dell’Istituto nanoscienze del Cnr. Fisico teorico, 53 anni, Rozzi è anche violinista: insieme a colleghi del Politecnico di Milano e del Dipartimento di psicologia dell’università di Padova, ha voluto esplorare le qualità che rendono più gradevole il suono di un violino, rispetto a un altro. Lo studio è stato pubblicato dal Journal of the Acoustical Society of America.

"Per realizzare una ricerca come questa, non potevamo che rivolgerci a persone con un orecchio esperto, come la comunità dei liutai di Cremona", spiega Rozzi. I ricercatori dunque hanno scelto cinque violini in base alla loro ‘reputazione’, due preziosi Stradivari dalla collezione storica del Museo del violino di Cremona, due violini moderni e un violino di fabbrica, poi hanno invitato settanta liutai a sessioni di ascolto individuali e ‘al buio’: nessuno sapeva quale violino venisse suonato in quel momento. Per evitare che il giudizio fosse condizionato dal brano eseguito, è stata proposta una semplice scala musicale e i liutai hanno poi dato un voto in base a tre parametri, l’apertura, la chiarezza e la nasalità del suono. Per intenderci, si dice che un violino abbia un suono aperto quando sembra ‘uscire’ dallo strumento, mentre la nasalità si riferisce a una caratteristica del timbro (l’oboe, per esempio, è uno strumento ‘nasale’). "Elaborando i dati, ci siamo resi conto che la piacevolezza del suono dei vari violini era stata classificata in modo coerente con la loro reputazione", dice Carlo Andrea Rozzi: in altre parole, il suono degli Stradivari era il più gradevole di tutti, per il particolare bilanciamento delle tre qualità sonore. Davvero un suono fuori dal comune.

Allora, conoscendo la ‘formula’, la si potrebbe riprodurre in violini di oggi? "Fare una copia oggi sarebbe un mero esercizio accademico", sottolinea Rozzi: nei violini di Stradivari, infatti, sono elementi fondamentali anche l’antichità del legno e gli anni trascorsi. "Ma si possono produrre violini che abbiano una qualità paragonabile", aggiunge il ricercatore. Senza dimenticare che la nascita di un violino non sarà mai un semplice processo industriale, ma c’è un ‘quid’, un fattore umano, la perizia del mastro liutaio, che nessuna macchina potrà mai eguagliare. E meno male...