«Augusto Bianchini favorì la ‘ndrangheta»

«A MIRANDOLA è caduto un altro capannone....». «Ce ne sono disastri là....capannoni sfasciati a terra...». «Dobbiamo preparare quatro o cinque società.. dobbiamo iniziare a lavorare».

É il 2012, le macerie del terremoto che ha sconvolto l’Emilia sono ancora calde.

Gaetano Blasco e Antonio Valerio, ritenuti esponenti della ‘ndrangheta in Emilia, intercettati al telefono dai carabinieri di Modena, si stanno organizzando per far arrivare i tentacoli della cosca Grande Aracri sulla ricostruzione della Bassa modenese.

E il tramite per infiltrarsi negli appalti assegnati dai comuni è un imprenditore di San Felice sul Panaro: Augusto Bianchini, titolare della Bianchini Costruzioni, che da anni collabora con Giglio Giuseppe, imprenditore edile, membro del clan e pentito.

Nelle oltre tremila pagine scritte dai giudici del processo Aemilia per motivare la storica sentenza pronunciata lo scorso 31 ottobre, viene ripercorsa tutta l’indagine che ha smantellato la più grande cosca mafiosa operante al Nord Italia e con cui Augusto Bianchini - condannato a 9 anni e 10 mesi di carcere per vari reati tra cui il concorso esterno in associazione mafiosa - collaborava.

Una collaborazione esterna con il sodalizio che non è stata riconosciuta alla moglie Bruna Braga e ad Alessandro Bianchini, titolare della società Ios, entrambi condannati rispettivamente a tre anni e due anni. Assolti gli altri due figli, Alessandra e Nicola. Nelle motivazioni i giudici spiegano perchè hanno riconosciuto ad Augusto Bianchini l’accusa gravissima di concorso esterno in associazione mafiosa. Le prove raccolte dai carabinieri negli anni di indagini, centinaia di intercettazioni, hanno delineato con chiarezza il livello di commistione tra la Bianchini Costruzioni e l’associazione mafiosa, nonchè le modalità con le quali tali rapporti avevano permesso l’infiltrazione della ‘ndrangheta nelle opere di ricostruzione. Bianchini è stato il tramite con cui Michele Bolognino, ritenuto uno dei boss, si è inserito negli appalti post-sisma della Bassa modenese. Il meccanismo è stata la prestazione di manodopera: Bolognino forniva a Bianchini operai che venivano formalmente assunti dall’imprenditore di San Felice per lavorare nei cantieri della ricostruzione ma, di fatto, erano gestiti, soprattutto nelle retribuzioni, da Bolognino. Un meccanismo arricchito da false fatturazioni per operazioni inesistenti che permettevano il transito di fondi dalla Bianchini a Bolognino per il pagamento delle manodopera. Bianchini non partecipava direttamente al sodalizio mafioso, non era colluso in senso completo del termine: ma è certo, scrivono i giudici, che ne fosse un concorrente esterno.