
Martedì sera alla sala Truffaut la regista presenta il film ’The Greatest’, prima assoluta: "Trasmetteva verità e intensità senza trucchi"
Sonia Bergamasco ‘incontrava’ Eleonora Duse già alla scuola del Piccolo Teatro di Milano: "Ogni giorno, salendo le scale, vedevo un suo ritratto fotografico, incrociavo il suo sguardo. E ogni giorno di più sentivo di voler conoscere e sapere qualcosa di più di lei, della sua vita e della sua arte", ricorda l’attrice. Eleonora Duse, scomparsa nel 1924, insieme a Sarah Bernhardt fu una delle attrici più rappresentative del suo tempo, "la più grande artista che io abbia mai visto", disse Charlie Chaplin dopo averla applaudita a Los Angeles. "Ho iniziato a leggere, a cercare, a raccogliere testimonianze su di lei. È stata come una lunga traversata", continua Sonia Bergamasco che da questa sua ‘indagine’ ha tratto un film, ’Duse, The Greatest’, il suo primo lavoro cinematografico da regista: lo presenterà in prima visione esclusiva martedì alle 21 alla sala Truffaut, in collaborazione con Fice Emilia Romagna ed Ert. Non è una fiction, neppure un film biografico, quanto piuttosto un documento, una sorta di ‘investigazione’: contributi filmati d’archivio di grandi testimoni, come Luchino Visconti, Lilla Brignone, Carmelo Bene, si uniscono alle interviste e alle voci di artisti del presente, da Valeria Bruni Tedeschi a Helen Mirren fino a Fabrizio Gifuni, marito della regista, per ‘ricostruire’ un ritratto di Eleonora Duse e della sua impareggiabile aura artistica.
Signora Bergamasco, quali ‘tracce’ ha lasciato Eleonora Duse?
"Abbiamo molte fotografie, ma non abbiamo testimonianze della sua voce. Ci è arrivato solo un suo unico film muto, ‘Cenere’, del 1916. Abbiamo le sue parole: lei non amava le interviste, si è sempre negata ai giornali, ma scriveva fiumi di lettere. E abbiamo le testimonianze di chi ha avuto la fortuna di vederla. ‘Scovarla’ non era semplice, ma ho voluto affrontare questo viaggio".
Perché?
"Negli anni ho provato sempre più un sentimento di fortissima gratitudine verso Eleonora Duse: ho sentito che lei è stata per me di fortissima ispirazione, mi ha aiutato a crescere, ad andare avanti in questa professione, nel mestiere dell’attrice. Ho sentito fortemente la sua ‘presenza’, la sua magia".
In che modo?
"Il film ha al centro il corpo dell’attrice, il corpo fisico e il corpo immaginario. Eleonora Duse era un corpo di scena nuovo che seppe scuotere il pubblico del suo tempo, con gesti minuti, una verità e un’intensità spoglia: trasmetteva una verità e un’intensità forti con una nudità di mezzi, senza trucchi. Ho cercato di indagare proprio questo corpo sensibile, nudo, dell’attrice ieri e oggi, e il corpo immaginario, attraversato dallo sguardo degli altri".
Cos’è il corpo per un’artista, per un’attrice?
"È uno strumento al servizio dell’espressione e del progetto artistico. E in questo Eleonora Duse, con il suo genio, ha fatto scuola, è diventata riferimento anche per il teatro contemporaneo. È sempre stata avanti, all’avanguardia".
Come è stato dunque il ‘viaggio’ alla scoperta di Eleonora Duse?
"Incredibile e appassionante. L’ho affrontato insieme a Mariapaola Pierini, docente di cinema, fotografia e televisione all’università di Torino, con cui abbiamo condiviso l’idea di farne un film. E questo viaggio, per me, non è ancora concluso: sento che Eleonora Duse è ancora ben presente nella mia vita artistica. Il suo corpo è assente ma lei continua a ispirarmi ogni giorno".
La rivedremo anche al cinema o a teatro?
"Ho interpretato la giornalista Giuliana Sgrena, rapita vent’anni fa in Iraq, nel film ‘Il nibbio’ di Alessandro Tonda che uscirà nelle sale il 6 marzo. È il racconto delle drammatiche giornate in cui Nicola Calipari, alto dirigente del Sismi (nel film l’attore Claudio Santamaria, ndr), diede la vita per salvare Giuliana, una storia di sacrificio e di coraggio".