Cosa accadde quel tristemente famoso otto marzo del 2020, quando esplose la rivolta all’interno del carcere Sant’Anna, a seguito della quale morirono nove detenuti? Dopo i numerosi esposti presentati dai carcerati la procura di Modena ha recentemente iscritto sul registro degli indagati diversi agenti della polizia penitenziaria. I reati ipotizzati di cui devono rispondere sono gravissimi: tortura e lesioni aggravate. La conferma dell’iscrizione degli indagati nel registro – recentissima - è avvenuta durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. La procuratrice generale reggente di Bologna, Lucia Musti, nella sua relazione ha sottolineato infatti come "è stato aperto un fascicolo modello 21 a seguito delle numerose denunce presentate da detenuti-persone offese per il delitto di tortura". Musti ha poi sottolineato come le indagini – oggetto di proroga – proseguano nel più stretto riserbo. Sono stati alcuni detenuti a puntare il dito, appunto, contro gli agenti nell’ambito di un riconoscimento fotografico ma le indagini sono appunto in corso. A giugno dello scorso anno il gip Andrea Romito aveva respinto, lo ricordiamo l’opposizione alla richiesta d’archiviazione presentata dall’associazione Antigone, dal Garante dei detenuti e dall’avvocato dei parenti di una delle vittime, dove si ipotizzavano i reati di omicidio colposo e morte o lesioni come conseguenza di altro delitto. Gli otto decessi (perché sul nono, quello di Salvatore Piscitelli, sono al lavoro i magistrati di Ascoli Piceno) sarebbero stati causati dall’asportazione violenta e dall’assunzione di "estesi quantitativi di medicinali correttamente custoditi all’interno del locale a ciò preposto". Ma in questo caso si tratta di un secondo fascicolo, aperto a seguito appunto di esposti presentati dai carcerati, tra cui un detenuto poi trasferito a Forlì. Negli esposti venivano denunciate violenze e torture: calci, pugni e manganellate ma anche pestaggi in piena regola. Uno dei cinque testimoni della morte di una delle nove vittime – Salvatore Piscitelli – si era rivolto direttamente al ministro Cartabia, attraverso un reclamo per far presente come il 9 marzo fosse stata organizzata una spedizione punitiva all’arrivo nel carcere di Ascoli dove morì Piscitelli. Il carcerato e gli altri quattro testimoni della morte di ‘Sasà’ già a dicembre avevano presentato un esposto alla procura di Ancona denunciando "pestaggi, torture, soccorsi negati e accanimento contro un ragazzo in fin di vita".
Valentina Reggiani