
di CHIARA MASTRIA
HA SVILUPPATO un software che da giovedì scorso Facebook ha reso open-source: Lorenzo Baraldi, 30enne modenese oggi ricercatore all’AlmageLab di Unimore, era un dottorando ‘ospite’ del Facebook Al Research di Parigi quando appena un paio d’anni fa ha dato vita, insieme ad altri ricercatori, a questo algoritmo. Pochi giorni fa gli è arrivata la notizia: è stato completato, portato in produzione e reso pubblico. In parole povere, è in funzione. Cosa fa di speciale? Trova duplicati o parti simili tra video in tempo reale, grazie a una combinazione di «reti neutrali e tecniche classiche di ‘pattern recognition’», spiegano dall’Università. Quanto a Facebook, lo ha adottato per trovare video da rimuovere dal web, scegliendolo «per la sua accuratezza e velocità».
Lorenzo, entriamo più nel dettaglio delle funzionalità del software. Qualche esempio di come lavora?
«Quando qualcuno va al cinema, riprende il video con il telefonino e poi lo carica sul social network, quel contenuto verrà bloccato dal software. Non solo copyright, con lo stesso meccanismo è possibile tracciare la diffusione di video con contenuti non ammessi, come la violenza o il terrorismo».
Quanto è difficile tenere monitorato il mondo dei social?
«Chi ha in mano un social network ha in mano una creatura che si espande a una velocità incredibile, non controllabile umanamente. L’impossibilità di farlo crea una libertà di diffusione dei contenuti pericolosa, che prende direzioni sempre diverse e molteplici. Questo algoritmo, in grado di trovare i ‘casi limite’, è un primo tentativo di controllare il mondo del web in maniera automatizzata».
E va bene per i casi limite. Ma quella zona grigia fatta, per esempio, di fake news, propaganda, contenuti non appropriati ma più ‘soft’? Si potrà mai controllare?
«Ad oggi non esistono modi per bloccare la diffusione di questi contenuti. L’esperienza delle fake news ha insegnato che si possono facilmente diffondere notizie false e non c’è modo per bloccarle in automatico. Un controllo manuale, con gli enormi numeri di Facebook, è impossibile. Uno automatico difficile, perché si entra in una zona grigia in cui una macchina difficilmente può capire, come nel caso delle fake news, cosa è vero e cosa no. Però ci si sta lavorando, è la sfida del domani».
Come è stato lavorare con Facebook?
«Molto bello. Il centro di ricerca di Parigi ricorda l’università: ci sono tanti ricercatori (tutti di altissimo profilo), che lavorano tutti insieme collaborando per obiettivi comuni, senza orari fissi, in questi grandi open space. In più, c’è una capacità di potenza di calcolo che fuori da lì non si trova. Per un ricercatore, per il livello di una ricerca, è un campo di validazione scientifica unico».
E ora?
«Vado avanti a fare ricerca, seguendo questo filo rosso che mi lega da sempre al mondo dei video. Sto portando avanti nuovi progetti e sono felice di poterlo fare nella mia università».
Commento inusuale, in tempo di ‘fuga dei cervelli’.
«L’Italia ha un grande potenziale e Modena lo dimostra: il laboratorio di Intelligenza artificiale di Unimore è cresciuto moltissimo negli ultimi cinque anni, diventando sempre più importante. Oggi ha contatti con Facebook, Ferrari, Amazon, Panasonic, per citarne alcuni. Si riescono a fare belle cose anche qui».