Dal ghetto ebraico di Finale alle luccicanti corti d’Oriente

di STEFANO MARCHETTI

AVEVA 23 anni Rubino Ventura, quando nel 1817 lasciò Finale per andare alla conquista del mondo, la stessa età di molti ragazzi che oggi volano oltre i confini per costruire la loro vita, magari in un ateneo o in un centro di ricerca. Due secoli fa Rubino (che giovanissimo aveva iniziato la sua carriera militare nell’armata napoleonica) ‘emigrò’ per diventare un condottiero, dapprima colonnello dell’esercito del principe ereditario di Persia, poi generale del Maharaja Ranjit Singh, re di Lahore: alla guida delle truppe sikh condusse impetuose campagne militari, fu nominato ‘kazi’, giudice supremo, e governatore di Lahore, accumulò ingenti ricchezze e – dicono – si circondò di donne affascinanti. Come appassionato archeologo fu anche il primo a esplorare uno ‘stupa’, riuscendo a recuperare preziose reliquie. Anni dopo tornò in Europa, si stabilì a Parigi, entrò nelle grazie del re Luigi Filippo, e divenne conte del castello di Mandy, dove morì nel 1858. Dal ghetto ebraico di Finale alle luccicanti corti d’Oriente, quella di Rubino Ventura fu una vita tanto avventurosa quanto perfino romanzesca: tanto è vero che Giuseppe Pederiali, che aveva fiuto per le belle storie, scelse proprio l’ardimentoso generale – in una versione assai liberamente riveduta e corretta – come uno dei protagonisti di ‘Emiliana’, storia di donne coraggiose sullo sfondo dell’Italia dell’Ottocento risorgimentale.

Nella strada che porta il suo nome, nel cuore di Finale che ancora mostra le ferite dal terremoto, una lapide ricorda il luogo in cui Rubino nacque il 25 maggio 1794 da un mercante ebreo. E sempre qui, oggi, i sikh verranno a rendergli omaggio, portando in regalo un bassorilievo realizzato in India, a memoria delle gesta del generale. L’inaugurazione della scultura sarà il culmine della Festa dell’amicizia Sikh, che l’associazione Alma Finalis – ricorda la coordinatrice Maria Pia Balboni, autrice di un’accurata biografia su Rubino Ventura – ha voluto realizzare «come un ponte fra Oriente e Occidente, suggellando i legami fra popoli di etnie e religioni diverse». L’idea è nata da Bobby Singh Bansal, un giovane sikh nato in Inghilterra, autore di una ricerca sul generale finalese: sarà presente oggi a Finale, insieme ai rappresentanti del mondo culturale sikh e della comunità sikh di Novellara. Alle 10.30 in via Trento Trieste la cerimonia sarà aperta dagli interventi del sindaco Sandro Palazzi, di Bobby Singh Bansal, di Sonia Merighi e Maria Pia Balboni, quindi alle 12 verrà scoperta la scultura: seguirà un buffet con cibi tradizionali, offerto dalla Sikhi Sewa Society, con un’esibizione di arti marziali. Fra i sari delle signore e le vesti eleganti dei loro accompagnatori, i sikh dimostreranno anche come si avvolga un turbante intorno al capo, e lo faranno provare a quanti vogliano sentirsi parte della festa. «E’ un occasione imperdibile per immergersi in una cultura in gran parte sconosciuta – aggiunge Maria Pia Balboni – e per dimostrare che, anche nel nostro Paese, è possibile una convivenza pacifica, come quella che duecento anni fa si avverò nel regno di Lahore, grazie all’intelligenza e alla lungimiranza del Maharaja Ranjit Singh». E di quel generale che portò in Oriente un pizzico del suo mondo padano.