Emma Dante: "Scelgo le fiabe, lezioni di vita"

La regista porta alle 16.30 al teatro Storchi ’Scarpette rotte’, libera rivisitazione di Andersen: "La morale? Mai dimenticare le nostre origini"

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di Stefano Marchetti

Ogni sera Emma Dante racconta a suo figlio una favola: "Altrimenti non vuole andare a dormire... E ogni volta deve essere un racconto nuovo per cui devo sempre inventare, andare di fantasia. Sono tutte piccole trame che poi magari finiranno a teatro", sorride la celebre regista palermitana. Ammiratissima per le sue opere teatrali e cinematografiche (di recente ha diretto i ’Dialogues des Carmelites’ che hanno inaugurato la stagione dell’Opera di Roma), Emma Dante ha spesso un approccio tagliente e perfino feroce. Ma in parallelo alle sue creazioni per i ‘grandi’, da diversi anni si ritaglia il tempo per dedicare spettacoli anche ai ragazzi. Come ’Scarpette rotte’, libera rivisitazione delle ’Scarpette rosse’ di Andersen (coprodotta da Ert), che andrà in scena al teatro Storchi oggi alle 16.30 (con repliche per le scuole domani e martedì mattina). Celine, una bimba povera, viene adottata da una ricca signora, ma il benessere e i capricci le faranno smarrire i valori più importanti. E le scarpette rosse la costringeranno a ballare fino allo sfinimento.

Signora Dante, cosa la attrae delle fiabe?

"Sono spesso sospese fra una verità cruda, e anche crudele, e una dimensione onirica. Anche i miei film a volte sono come delle fiabe. Nelle favole io vedo la possibilità di raccontare la morale e l’etica a quello che sarà il pubblico di domani".

Come ha affrontato le ‘Scarpette’ di Andersen?

"Tutte le fiabe di Andersen sono spesso dure, parlano della morte bianca per parlare della vita. Sulla trama originale, come in un caleidoscopio, ho voluto inserire anche un altro racconto, la storia delle due scarpette sorelle, brutte e malconce, che vengono regalate a Celine. Sbiadite e bucate, saltano e danzano, finché torneranno rosse e brillanti. Perché la felicità non ha a che fare con la superbia e la vanità"

Quale messaggio possiamo trarne?

"Che non dobbiamo mai dimenticare o rinnegare le nostre origini, anche quando sono disgraziate. Quando si fa il salto, si acquista ricchezza, a volte ci si dimentica da dove si sia venuti". Capita anche oggi?

"Penso ai ragazzi di oggi che con il web hanno accesso a una marea di informazioni, con l’illusione di avere il mondo ai loro piedi. In questo mondo virtuale occorre stare attenti e cauti perché si rischia di perdere il contatto con la realtà. E subentra pure la noia, un’altra brutta bestia".

Lei è considerata regista anche provocatoria. Con i ragazzi utilizza un registro differente?

"Non esiste un teatro di serie A o di serie B. Il teatro per ragazzi richiede grandissima responsabilità, come quello per gli adulti. Ovviamente alcuni temi non sarebbero adatti ai ragazzi, che non sono ancora preparati ad affrontarli. Il linguaggio dei miei spettacoli per ragazzi è meno aggressivo, meno traumatico, ma non per questo meno diretto".

Perché?

"Perché i giovani hanno l’adrenalina in corpo, si attivano prima, rispetto agli adulti. I grandi vanno (ri)svegliati, i ragazzi vanno soltanto aiutati e stimolati. Con loro è tutto più semplice". - Qual è la fiaba che ama di più? "Sicuramente Pinocchio, il caposaldo. E proprio per questo non la farò mai, come Amleto di Shakespeare. Per metterli in scena, dovrei avere qualcosa di nuovo da dire. Preferisco tenerli come icone".