REDAZIONE MODENA

«Il mio jazz tra libertà e improvvisazione»

Paolo Fresu mette stasera in scena lo spettacolo ‘Interplay’ al teatro comunale di Carpi

Il concerto di Paolo Fresu, insieme a Paolino Dalla Porta, fa parte della rassegna ‘Mundus’

CARPI, 29 aprile 2015 – «Interplay»: questo il nome dello spettacolo che stasera alle 21, sul palco del Teatro Comunale di Carpi, vedrà protagonista Paolo Fresu, insieme a Paolino Dalla Porta, nell’ambito della rassegna Mundus. I due grandi nomi del jazz, tromba e contrabbasso, porteranno in scena un dialogo tra strumenti capace di celebrare l’interscambio musicale, attraverso composizioni originali e reinterpretazioni di brani celebri. Paolo Fresu, musicista sardo di fama internazionale, racconta della sua lunga e poliedrica carriera, costellata di premi e riconoscimenti.

Cosa rappresenta per lei il jazz? «La libertà. Tutta la musica deve essere libera, ma in particolare il jazz, con la sua improvvisazione, ti consente di arrivare dove desideri. È una forma di comunicazione diretta; è emozione, poesia, pathos».

Spesso ha duettato con altri artisti: che insegnamenti ne ha tratto? «Il rapporto nasce innanzitutto fuori dal palco; ci vede essere stima reciproca. Il duo è una «scommessa» difficile, richiede la massima sintonia. Ma offre grandi opportunità e spazio di espressione».

Essere musicista è un mestiere? «Se «mestiere» è tutto ciò che viene realizzato con consapevolezza e rispetto delle regole, allora anche essere musicista lo è. È un lavoro fortunato, con i pro e i contro. L’essere sempre in viaggio, lontani da casa. Inoltre richiede responsabilità nell’utilizzo dello strumento creativo. La musica non deve essere fine a se stessa, ma porre al centro dell’attenzione ciò che appartiene al sociale, all’ambiente, alle relazioni umane. È come fare «buona politica», per migliorare il mondo».

Che messaggio vuole comunicare ai suoi fan? «Vorrei trasmettere loro un’emozione e l’idea del bello. La musica come pulizia interiore, trasfusione emotiva. Non sempre ci si rende conto di quanto la musica sia importante: con il suo linguaggio diretto trasporta messaggi, smuove sentimenti. Tante persone mi scrivono per raccontarnmi come la mia musica li abbia accompagnati in momenti particolari della vita, facendole sentire meno sole».

Cosa vede se guarda nel suo passato? «Semplicemente quello che è stato; non cambierei nulla perché le cose dovevano andare così. Ho inciso oltre 400 dischi, fatto migliaia di concerti; ma ciò che più mi rende orgoglioso è non aver mai fatto qualcosa perché imposto da altri. Riporto nella musica i valori precisi e forti della mia origine sarda».

Un sogno per il futuro? «Fino a poco tempo fa avrei risposto realizzare un progetto sulla cultura barocca. Ma l’ho fatto! Spero di continuare a fare ciò che faccio, con la stessa passione e curiosità. Quindi, sognare sempre».

Anche Chet Baker si è complimentato con lei… «(Sorride, ndr)E’ vero. Era il 1984, avevo suonato al Festival di Sanremo, dove suonava anche lui. Ero molto timido, avevo iniziato a suonare da poco; alla fine del concerto comparve Chet, quasi dal nulla, e mi disse: «Complimenti, hai suonato una bella versione di Round Midnight». Non lo dimenticherò mai…».

di Maria Silvia Cabri