I tormenti del duce per la morte di Formiggini

Nel libro di Scurati le parole di Mussolini dopo il suicidio dell’editore: "Un tristo finir di novembre". Ma non bastò a ritirare le leggi razziali

di Gianpaolo Annese

"In questo tristo finir di novembre la morte di Formiggini mi ha profondamente rattristato. È stato uno dei maestri della mia giovinezza". A pronunciare queste parole sconsolate non è un ‘allievo’ qualunque dell’editore e scrittore modenese, ma Benito Mussolini nel pieno della promulgazione delle leggi razziali. Non del tutto inedita ma poco conosciuta al grande pubblico, la riflessione – che pur evocandolo comunque non indurrà il duce del fascismo al passo indietro sulla persecuzione contro gli ebrei – è stata pubblicata sull’ultimo libro in vetta alle classifiche di Antonio Scurati ‘M – gli ultimi giorni dell’Europa’, terzo romanzo della serie bestseller dedicata fascismo e a Mussolini.

Le pagine che Scurati dedica all’intellettuale modenese, "quinto e ultimo figlio di una famiglia ebraica di antica origine", sono introdotte da una data: Modena, 29 novembre 1938. "Dopo una prima laurea in giurisprudenza ne ha conseguita una seconda in filosofia con una tesi intitolata ‘La filosofia del ridere’ dove afferma che soltanto il riso – esaltato come la ‘massima manifestazione del pensiero filosofico’ – può rendere fraternamente solidali gli uomini". Una convinzione che si spingerà – una volta fondata la propria casa editrice, accanto a collane di argomento filosofico, religioso, pedagogico – a dare vita primo in Italia ai ‘Classici del ridere’, "seguiti da un’intera biblioteca dell’umorismo, battezzata ‘Casa del ridere’". L’autore di ’M’ si sofferma sulla decisione del suicidio: "Da sempre propugnatore di una totale assimilazione culturale degli ebrei, fino all’esortazione, rivolta ai correligionari, a sciogliere la propria identità culturale e religiosa, a lungo ammiratore personale di Benito Mussolini, costretto infine dalle imminenti leggi razziali a ricordare quel che per tutta la vita aveva cercato di dimenticare o, forse, di sublimare nel riso – ossia essere ebreo –, la mattina del 29 novembre millenovecentotrentotto, Angelo Fortunato Formiggini sale la lunga scalinata che conduce in cima alla torre della Ghirlandina nella città di Modena, e si getta di sotto".

Si schianterà come è noto su quello che lui stesso aveva ironicamente chiesto di ribattezzare in una delle sue ultime lettere il tvajol ed Furmajin, il tovagliolo del Formaggino, un fazzoletto di selciato passato alla storia locale. Nelle tasche della giacca vengono ritrovati documenti personali, due lettere, una indirizzata al re, l’altra a Mussolini, e un assegno di 30mila lire destinato ai poveri della sua città. "Affinché nessuno potesse liquidare il suo estremo gesto di protesta attribuendolo alle difficoltà economiche delle sue imprese editoriali".

Per volontà di Mussolini, il suicidio dimostrativo di Formiggini passerà sotto silenzio, nessun giornale italiano ne dà notizia, non una riga comparirà nei diari di Bottai, di Ciano. "L’unico fascista di rilievo a chinarsi idealmente sul corpo straziato del suicida è Achille Starace, segretario del Partito nazionale fascista: ‘E’ morto proprio come un ebreo: si è buttato da una torre per risparmiare un colpo di pistola’".

Seguono nelle pagine finali i virgolettati degli stralci di due riflessioni. Una è proprio quella del duce nella quale Mussolini – difficile stabilire naturalmente quanto si tratti di una mera posa tormentata da tramandare alla Storia o l’espressione di un reale stato d’animo – a pochi giorni dalla tragedia in un colloquio con Yvon De Begnac, giornalista, suo biografo ufficiale, fa annotare: "Formiggini era stato uno dei maestri della mia giovinezza. Una tra le sue preziose opere classiche ‘Pamphlets’ si era aperta nel 1927 con una raccolta di miei articoli. Il caso Formiggini mi induce a meditare sulle responsabilità di cui sono lo sfondo. Quando, in politica, si prende una decisione, si ha mai la possibilità di riservarci margine di discrezionalità nel restarle fedeli?".