STEFANO MARCHETTI
Cronaca

Il maestro Bietti a Casa Pavarotti: "Puccini, grandezza da riscoprire"

Stasera alle 21 la lezione concerto su ’Tosca’. "Era l’unico musicista aperto agli influssi europei"

Il maestro Bietti a Casa Pavarotti: "Puccini, grandezza da riscoprire"

Giacomo Puccini è fra i compositori più eseguiti al mondo, "eppure è ancora oggi largamente frainteso: si parla di lui soprattutto come di un compositore sentimentale, quando invece è stato un grande musicista europeo e un eccellente uomo di teatro", sottolinea il maestro Giovanni Bietti, compositore e pianista, fra i più apprezzati divulgatori musicali italiani. A lui sono affidate due lezioni concerto – proprio dedicate a Puccini – nel parco della Casa museo Pavarotti: stasera alle 21 parlerà di "Tosca", poi venerdì 28 di "Turandot".

Maestro Bietti, perché Puccini viene spesso sottovalutato? "Perché non si comprende a fondo la sua grandezza, già come drammaturgo: pochi come lui sono stati capaci di ‘costruire’ il percorso di un’opera e le emozioni dei personaggi. E poi Puccini aveva davvero uno sguardo aperto all’Europa: è stato l’unico compositore italiano della sua generazione costantemente aggiornato su quanto accadeva oltre i nostri confini. Andò ad ascoltare ‘Pelléas et Mélisande’ di Debussy appena uscì, la ‘Salome’ di Strauss, e poi Stravinskij e Schönberg. E immediatamente recepiva e ripensava nelle sue opere le novità della musica d’avanguardia".

Per esempio?

"Fra ‘Tosca’ e ‘Turandot’ passano 24 anni: una aprì il ‘900, l’altra rimase incompiuta alla morte del compositore, nel 1924. Ebbene, se il linguaggio di ‘Tosca’ è ancora simile a quello tardo ottocentesco di ‘Bohème’, nella ‘Turandot’ si avverte fortissima la lezione della ‘Sagra della primavera’ di Stravinskij. Puccini fu un grande innovatore: Anton Webern, maestro della dodecafonia, andò ad assistere alla ‘Fanciulla del West’ e scrisse a Schönberg, dicendo che l’aveva trovata sorprendente. Spesso quindi di Puccini si ha un’immagine distorta".

"Tosca" inaugurò il nuovo secolo, proprio nel 1900...

"In quest’opera ci sono alcuni tocchi raffinatissimi e un modo sottilissimo di far percepire le situazioni e le emozioni. Per esempio, già nello stornello del pastore, un elemento popolaresco e veristico, è nascosto il tema di Scarpia, quindi si avverte la minaccia incombente. E lo stesso tema si nasconde anche nel tema del pozzo che dovrebbe rappresentare la salvezza, ma evidentemente è ingannevole. L’ambiguità nell’uso dei temi conduttori è una tecnica wagneriana: una volta di più, tutto questo viene dal confronto con la tradizione europea".

E che opera è invece "Turandot", l’incompiuta?

"Secondo me, non poteva che restare incompiuta. Puccini ha avuto due anni per finirla, ma non è riuscito a trovare una chiave per l’ultimo duetto. Dal punto di vista drammaturgico sarebbe stata una sfida impossibile. E lo è stata anche per tutti coloro che hanno provato a completare l’opera. Ma credo che proprio in questa incompiutezza stia il fascino dell’opera".

"Turandot" è considerata l’opera più all’avanguardia di Puccini. Perché?

"Certamente perché guardava pienamente alla musica europea del suo tempo. Per esempio nel primo atto, ci sono passaggi che sembrano ripresi da ‘Les noces’ di Stravinskij ma Puccini, mentre componeva, non poteva ancora conoscere quella composizione: tuttavia aveva evidentemente la capacità di comprendere in quale direzione stesse andando lo stile suo contemporaneo. E di coglierne ogni sfumatura".