Quando le auto si "cucivano" su misura

Alla chiesa di San Carlo, fino all’11 settembre, la mostra dei capolavori dei maestri carrozzieri, dalla Testarossa del ’57 alla 250 Gto

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La terra dei motori dovrebbe chiamarsi "Motor and carrozzerie Valley", in attesa sia realizzato nella sua capitale, Modena, un museo dedicato al lavoro dei "battilastra". Mentre tra pochi mesi ci sarà una esposizione anche in Regione a Bologna per lanciare il progetto. Queste considerazioni sono emerse ieri alla inaugurazione della seconda edizione della mostra "Gli scultori della velocità. I capolavori dell’epoca d’oro dei motori scolpiti dai Maestri carrozzieri modenesi" - chiesa di San Carlo, fino all’11 settembre, ingresso gratuito - con la quale la collezione ModenArt, ideata dal manager francese Jean-Marc Borel (ieri commosso alla presentazione), intende portare avanti la memoria degli artigiani che fino ad alcuni decenni fa realizzavano interamente a mano le carrozzerie delle supercar, Ferrari in testa. Si tratta di una storia bellissima, sconosciuta ancora a molti, soprattutto ai turisti, che la mostra contribuirà a diffondere: all’epoca del grande carrozziere Sergio Scaglietti, e anche del collega Medardo Fantuzzi, esisteva un gruppo di allora giovani lavoratori che oggi non si possono che definire artisti, scultori. I nomi di questi autori non sono notissimi, ma sono gli importantissimi "sarti" che hanno realizzato i "vestiti" di auto da sogno, diffuse ancora oggi in tutto il mondo a prezzi milionari: Afro Gibellini, Oriello Leonardi, Fernando Baccarini i maggiori cui si associa il nome di Giancarlo Guerra, scomparso da poco (la mostra è dedicata a lui, era presente la vedova mentre in mostra c’è il martello con cui per decenni ha realizzato le scocche). Costoro realizzavano interamente a mano, battendo appunto col martello un "foglio" di alluminio di 2 metri per 1, tutte le carrozzerie di auto prestigiose come le Ferrari 250 Gto e Gto 64 di inizio anni sessanta, la Testarossa del ’57, la Berlinetta Swb del ’59 e le celebri Daytona Ferrari P4 con cui la Rossa vinse nel 1967 in terra americana. Tutti "scheletri" esposti alla San Carlo ora. "La meravigliosa idea - spiega Gibellini - di riprodurre le carrozzerie storiche ci è venuta a una cena con Borel e Guerra: ci siamo detti che nella terra dei motori mai si era visto un motore girare, esso era sempre sotto le nostre carrozzerie. Dovevamo mostrare il nostro lavoro: all’epoca eravamo impegnatissimi, non avevamo grilli per la testa e non pensavamo certo al valore economico di queste auto, si lavorava e basta". Si lavorava con estrema precisione, tanto che oggi il loro capannone è a Campogalliano il paese della precisione e della bilancia.

Stefano Luppi