Quella di Carlo era la Voce di Modena Insieme a lui scoprimmo la libertà

Grande testimone della cultura Beat, al microfono aveva un timbro unico. Portò in città una vera rivoluzione

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di Leo

Turrini

La sua era la Voce di Modena. Per intere generazioni, Carlo Savigni ha fatto da colonna sonora ai piccoli, grandi momenti della quotidianità. Ti imbattevi, magari per caso, in quell’impatto di parole e ti fermavi lì, restavi lì come incantato, ammaliato, stregato da un timbro vocale unico.

Carlo Savigni! Il mio Carlone, il mite Carlone, naturalmente ha fatto tante altre cose, nella vita bella che ha consumato. Aveva dentro quella scintilla che accendeva il fuoco della passione: la cultura Beat, ad esempio, lo aveva avuto protagonista e testimone tra le strade e nei bar dei favolosi Sixties, gli Anni Sessanta. Semplicemente ma non banalmente, Carlo aveva intercettato una atmosfera, aveva ascoltato Dylan e interiorizzato i Beatles e gli Stones, senza però snobbare l’Equipe84 e i Nomadi. Penso avesse ascoltato i discorsi di Martin Luther King e di Bob Kennedy: o almeno, ne aveva recepito lo spirito, l’ansia di libertà ed uguaglianza.

Libertà, sì. Espressa da quella Voce che tra il 1975 e il 1976 iniziò a spargersi nell’etere. Erano nate, appunto, le radio libere. Savigni fu tra i fondatori di Radio Modena, poi con amici fidati mise in piede Modena Radio City.

Cambiò, con lui e grazie a lui, un mondo. Cambiò una città, attraverso l’ascolto si materializzò una nuova forma di relazioni. La gente cominciava ad interagire, interveniva in diretta, in fondo i programmi di ’dediche e richieste’, ecco, questo erano: una rivoluzione libertaria, con decenni di anticipo sul delirio pernicioso dei social.

Lo dico? Lo scrivo: Carlo Savigni sta alla nostra cultura popolare, territoriale, come Renzo Arbore sta alla cultura nazionale. Non per niente entrambi erano Maestri della Radio, la Radio che non è mai morta e non morirà mai, perché ci sono Voci che ti aiutano a pensare, ti fanno divertire, ti sottraggono alla malinconia che è l’anticamera della rassegnazione.

Io non so fino a che punto Carlo fosse consapevole di tutto questo. Posso però raccontare un aneddoto.

Nel 2009, l’allora assessore alla cultura del Comune, il funambolico Roberto Alperoli, pensò di fare di Modena la capitale del Beat italiano, con tanto di celebrazione il 29 settembre, data fatidica del primo successo di Mogol e Battisti cantato dalla Equipe84. Idea splendida e invidiata, dunque opportunamente tumulata, in seguito, dal prode Muzzarelli (Oddio, niente di male, magari il sindaco preferisce Vivaldi a Battiato, va a saperlo).

Insomma, io davo una mano e così a me e ad Aperol venne in mente di interrompere ad un certo punto lo spettacolo, per fare sentire dal fondo di Piazza Grande una Voce, la sua, quella di Carlo.

Il pubblico, migliaia e migliaia di persone, non vedeva Savigni. Ma riconobbe all’istante quel timbro, quell’accento, quel ritmo.

Scoppiò un applauso interminabile. Era come se tutta Modena stesse esprimendo una riconoscenza, un senso di gratitudine per quei miliardi di parole che viaggiando via radio avevano raggiunto il cuore di tanti, di tantissimi.

Carlo si commosse, come quando aveva stretto la mano a Dylan. Perché alla fine tutto si tiene, my friend.