
di Chiara Mastria
Volto di Zelig ma anche autore di un libro di poesie, ’Il cimitero delle argonaute’, il comico triestino Alessandro Fullin ama il bello e l’arte in tutte le sue forme e, quando può, se ne appropria: "Dipingo anche nature morte di una tristezza allucinante e sono felice come una pasqua", ci svela. Non è sempre il teatro che lo aspetta, ma è sicuramente il perno attorno al quale gira il suo successo: Fullin sarà al Mac Mazzieri di Pavullo martedì 22 febbraio con il nuovo spettacolo ‘Le sorelle Robespierre’ dove tra gioielli settecenteschi, scollature e deliziosi mobiletti da giardino, non mancano una intelligente satira della contemporaneità, lezioni di identità di genere e tanta ironia sul concetto di ‘famiglia’. Sul palco insieme a Fullin l’attore Simone Faraon e… un manichino.
Fullin, quanto si è divertito a portare in scena una duchessa settecentesca?
"La spinta in realtà è solo una: che devi pagare l’Iva. Gli artisti italiani improvvisamente hanno dei picchi di creatività quando devono pagare le tasse. Scherzi a parte il ’700, per una signora come me, è una tentazione: ti mettono un bel vestito, i gioielli, sei scollata davanti anche se hai quasi 60 anni… è una di quelle cose a cui non si può rinunciare. In scena ci sono due duchesse, madre e figlia condannate a morte: la cosa surreale è che ciò non avviene nel pieno della Rivoluzione Francese ma a Trieste, dove nel 1789 non è successo un bel niente. La Rivoluzione Francese è sullo sfondo ma il vero inferno, la vera ghigliottina è la famiglia: madre e figlia si detestano, c’è un’altra sorella sul palco che è un manichino ed è un po’ liberale nei costumi sessuali, mentre quella in scena è bruttina e non se la passa molto bene, quindi rosica".
Un sacco di risate che strizzano l’occhio alla contemporaneità, al concetto di famiglia?
"Si scherza molto sull’identità di genere, sull’omosessualità. Io in termini di famiglia ho fallito completamente con entusiasmo, non ho una famiglia e non adotterò niente, al massimo un photos. Sono un single molto convinto anche perché, in quanto artista, ho una vita molto disordinata. Chi vorrebbe condividere questa follia? Però sono un osservatore delle dinamiche tra fratelli, sorelle, mamme e papà. I rapporti tra i gay e le loro mamme, che sono delle criminali meravigliose: si lamentano dell’omosessualità dei figli ma in realtà sono entusiaste di non dover avere mai a che fare con una nuora. E tracimano, perché solo una donna può fermare un’altra donna, e invece loro diventano come l’Impero austro ungarico, si diffondono tranquillamente nella vita dei figli".
Lei ha un dono: far ridere. Come ci convive?
"Un dono che finisce a teatro: mi definisco una ‘simpatica da lontano’. Se poi mi incontri nella vita privata sono pesantissimo. Per farmi stare zitto mi devi sparare a un ginocchio! Vivendo da solo, poi, appena vedo un essere umano lo travolgo con tutti i miei racconti, da come faccio la polenta alla mia nuova dieta. Quindi sì, non è che sia tutto rose e fiori. Però una cosa ce l’ho: la sindrome della ricerca del bello, la grande consolazione che abbiamo su questo pianeta che, per altri versi, è così faticoso. Se sei mio amico vieni travolto da questo".