Veronesi, 94 anni tutti ’in punta di penna’

Decano fra i giornalisti modenesi, ha ancora voglia di raccontare storie. Esperto di arte, i suoi pezzi sono custoditi alla biblioteca Poletti

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di Stefano Marchetti

Ogni mattina (e talora anche in piena notte) Ferruccio Veronesi prende la penna e scrive: un aforisma, un raccontino, un ricordo. Scrivere, raccontare e raccontarsi è sempre la medicina migliore contro tutte le prove e gli acciacchi che la vita ti riserva.

Ferruccio lo fa da tantissimi anni: il 19 gennaio ha festeggiato la bellezza di 94 primavere – è sicuramente il decano fra i giornalisti modenesi (e fra i collaboratori del "Carlino") – ma il suo sguardo e il suo pensiero sono acuti e vivaci come quelli di un ragazzo. Anzi forse di più. Dalla sua casa di Castelfranco Emilia, affiancato dalla moglie e dalla figlia, osserva lo scorrere del tempo nelle cadenze quotidiane: ha visto cambiare governi e costumi, modi e mode, visioni e correnti, e soprattutto ha saputo captare e porgere a noi lettori le eterne rivoluzioni del mondo dell’arte, un universo di fantasia e di genio.

A Ferruccio piace ricordare di essere nato nel 1928 in un ottocentesco convento ormai senza suore, "anche se io non ho nulla a che fare con la monaca di Monza", sorride.

La sua è una delle famiglie più note di Piumazzo: il nonno era veterinario comunale e lo zio Sandro fu assai popolare per avere inventato nel suo laboratorio dei granelli che bloccavano l’anemia, i "granein ed Sandrein". Ferruccio aveva 4 anni quando si trasferì a Castelfranco: rimasto orfano di padre, ha svolto molti lavori, è stato anche impiegato all’anagrafe e insegnante alla scuola primaria e alla Casa di lavoro, ma già dal 1945 – ama rammentare – ha iniziato un’intensa attività giornalistica, per una manciata di anni alla "Gazzetta" con maestri d’eccezione come Arrigo Levi, Guglielmo Zucconi o Remo Lugli, poi ben presto al "Carlino" dove per quattro decenni ha firmato la rubrica di arte e tanti pezzi di ‘bianca’, un patrimonio di conoscenza e di testimonianza che già dal 2007 è stato acquisito dalla storica biblioteca Poletti di Modena.

Dal 1958 Ferruccio Veronesi è iscritto all’Ordine dei giornalisti. Si definisce "un ragazzo di campagna", e per questo ha sempre preferito rimanere qui, in queste terre fra Secchia e Panaro: alla fine degli anni ‘50 "La Stampa" di Torino gli offrì un contratto ma – confida – fu stordito dalla vita di città e dopo tre giorni preferì tornare a casa.

Ferruccio – lo sanno anche i fedelissimi del "Carlino" – non ha mai perso il desiderio di scrivere e di affidare alla pagina riflessioni, argute o dolenti, su questo mondo che scorre sempre più veloce (e non si sa dove andrà a finire).

In questi anni ha realizzato una serie di plaquettes, piccoli libri che ha regalato agli amici, e di recente ha riunito vari testi in un "Fritto misto", una ricca antologia "dove si ride e si piange, come nella vita, del resto", un volume che ha tutti i colori di un dipinto ed è come il quadro di un’esistenza ricca di incontri e di intelligente creatività, ma soprattutto ricca di Amore per gli affetti, per l’arte e per la bellezza. Vi ritroviamo – precise, puntuali e preziose – pagine dedicate agli artisti modenesi, da Tino Pelloni a Franco Vaccari, così come brillanti e divertenti siparietti di costume su vizi e storture della nostra società e freddure sapide e taglienti al modo di Achille Campanile.

Per arrivare a una toccante, bellissima poesia dedicata alla mamma Settima che Ferruccio ha assistito per anni, accompagnandola fino al passo d’addio. Vi ritroviamo soprattutto la profonda cultura e umanità di un uomo, un amico, che sa che ogni giorno ha la sua pena, ma ha anche qualcosa da scoprire. E da raccontare.