
Il pilota modenese Andrea Bertolini chiude la sua carriera agonistica a Monza, celebrato da Ferrari e Maserati.
Domenica primo giugno, alla gara di Monza valevole per il GT World Challenge Europe, il pilota modenese Andrea Bertolini ha concluso la propria carriera agonistica. Un campione che è entrato nella leggenda dell’automobilismo mondiale, un’istituzione, come affermato da Ferdinando Cannizzo, head of endurance Race Cars, capace di conquistare dieci titoli internazionali Gran Turismo: cinque mondiali, quattro campionati europei ed un campionato asiatico. "È stato un fine settimana molto bello – ci ha raccontato Andrea Bertolini – già a partire dal sabato, quando ho avuto una conferenza stampa organizzata dalla federazione SRO Motorsports Group assieme a tutti i giornalisti, qualcosa di emozionante. Poi mi hanno portato nell’ospitalità Pirelli con tutti gli ingegneri, e lì ho ricevuto in dono il ruotino della pole position con scritto: ’Grazie Andrea venticinque anni’. Successivamente, in Ferrari, ho trovato tutti i tecnici, i drivers ed è partito un video relativo alla mia carriera con i saluti dei nostri piloti fino a Leclerc, Alonso ed i miei capi. La domenica mi ha colpito la passione ed il calore trasmesso dalla gente. A fine gara, quando sono rientrato ai box, tutta la squadra ed i piloti ufficiali Ferrari mi hanno accolto festeggiandomi con una ventina di bottiglie di champagne. Molto bello anche perché condiviso con mio figlio, mio fratello e mio padre presenti con me a Monza, mentre mia moglie e mia figlia non hanno potuto esserci per un impegno agonistico".
L’ultima gara da professionista che sensazioni ha provocato in un Andrea Bertolini abituato a forti emozioni e trionfi?
"Sono fortunato perché lavoro per Ferrari e Maserati che mi hanno lasciato libero di scegliere fino a quando gareggiare. Rimango collaudatore di sviluppo, poi andremo a definire altri scenari al di qua del muretto. Il ruolo di seguire i nostri piloti mi da molte emozioni, forse più forti di quelle ricevute da pilota perché, quando gareggi, sei focalizzato su te stesso".
Come è maturata la decisione di concludere la carriera, a 51 anni?
"Ho sempre pensato all’obiettivo di arrivare a dieci campionati internazionali, risultato mai raggiunto da nessuno in ambito motorsport. Conquistato il decimo campionato, unito all’anagrafe che va avanti e l’impegno di seguire i nostri piloti ufficiali, ho pensato che fosse giunto il momento di chiudere. Ci sono due fasi: la prima sportiva, la seconda sportiva-lavorativa. Ho sempre pensato che debba iniziare la seconda con lo slancio della prima e terminare a Monza, dove tutto è cominciato nel 2001, è stato perfetto, una favola. Ho visto tanti piangere, emozionarsi ed è stato bello".
Ripercorrendo la sua trionfale carriera, quando ha capito che poteva realizzare il suo obiettivo sportivo?
"Nel 2006 con la conquista del mio primo titolo, una liberazione perché ne ho persi tanti. Il 2003 è stato un anno importante, perché abbiamo debuttato con la Ferrari 360, perdendo un campionato ormai vinto per la rottura di un alberino di una farfalla, e mi ha chiamato Jean Todt a fare il collaudatore della Ferrari Formula 1. Nel 2004 è partito lo sviluppo della Maserati MC12 e nel 2005 ho perso un altro titolo per la rottura della coppia conica sulla vettura del tridente. Mi ricordo che mi sono seduto in una tribuna deserta in Bahrein, a fine gara, con un pensiero: stai a vedere che, come diceva Enzo Ferrari, sono uno di quei piloti veloci ma sfortunati che non vincerà mai niente. Nel 2006, quando ho vinto, è iniziato tutto: la leggerezza che non devi dimostrare nulla e che sei consapevole delle proprie capacità".
Quanto reputa sia stato importante l’esperienza fatta da collaudatore della Ferrari Formula 1 nell’epoca di Schumacher per lo sviluppo delle vetture Gt?
"Mi ha portato a capire la cura del dettaglio: se guardi le Gt che ho sviluppato è tutto a portata di mano e sotto controllo, tutto più intuitivo e semplice perché, quando fai dei cambi di settaggio, deve essere tutto immediato per metterci meno tempo possibile. Ho fatto impazzire gli ingegneri: dal carico sul pulsante che doveva garantire col tatto delle dita che fosse certo l’inserimento del comando ai vari colori e luci dei bottoni corrispondenti alle varie funzioni".
A chi vorrebbe dedicare questo esaltante percorso che si è concluso dopo 25 anni?
"Sicuramente ai miei genitori che mi hanno dato tutto quello che potevano ed agli amici. A Pietro Corradini che mi ha aiutato fin dai kart, oltre a tutte quelle persone con cui ho lavorato, ognuno nel proprio ruolo a livelli altissimi, come ad esempio Giorgio Ascanelli ex ingegnere di Senna, da cui ho appreso segreti ed insegnamenti. Poi Antonello Coletta, mio responsabile con cui collaboro da molti anni, ma anche a chi mi ha fatto sentire come a casa. Ho avuto la fortuna di avere una famiglia che mi ha supportato, sopportato e spronato a dare il meglio e non usare mai il ’se’: quando a fine giornata ti viene detto che potevi fare meglio, non devi recriminarti con un ’se avessi fatto le cose al 100%’. Bisogna sempre dare il massimo, anche se a volte non basta".
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