Ambulatorio anti-ricoveri, già 18 pazienti Va forte il monoclonale, meno le compresse

Da lunedì è iniziata al San Salvatore la sperimentazione, unica in regione, per somministrare a domicilio le nuove terapie e cercare di abbassare le ospedalizzazioni. Pazienti dai 20 ai 94 anni, con sintomi non gravi. Frausini: "Negli ultimi giorni boom di richieste"

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di Benedetta Iacomucci

Sono già 18 – in sole 48 ore – i pazienti affetti dal Covid che sono stati visitati nell’ambulatorio del San Salvatore al piano terra della Palazzina F. E sono 16 i trattamenti effettuati, perlopiù con anticorpi monoclonali (15 casi) ma anche con Remdesivir (1 caso), mentre la nuova compressa della Merck – l’antivirale Molnupiravir – al momento non sembra particolarmente gettonata. I pazienti, alcuni provenienti dal Pronto soccorso, altri dal territorio (perlopiù dalle Usca, i medici a domicilio dell’Asur) sono stati tutti rimandati a casa, dove vengono monitorati giorno per giorno e, finora, sembrano rispondere bene ai trattamenti. Si registra solo un caso di una persona che avrebbe dovuto cominciare il trattamento con gli anticorpi monoclonali, ma a causa di un repentino peggioramento è stata ricoverata.

A guidare l’ambulatorio – che rappresenta una assoluta novità nel panorama ospedaliero regionale – è il primario di Medicina Gabriele Frausini. "L’ambulatorio è iniziato lunedì scorso – dice il direttore –, con l’obiettivo di trattare a domicilio alcuni pazienti che sono ancora a uno stadio iniziale della malattia. Ovviamente l’obiettivo è anche quello di alleggerire l’attività del Pronto Soccorso e abbassare le ospedalizzazioni". Finora i pazienti che sono stati inviati dall’ambulatorio sono sia uomini che donne, vaccinati e non, di tutte le età: dai 20 anni (pazienti oncologici o trapiantati) ai 90. "Vediamo pazienti che sono allo stadio iniziale della malattia – spiega Frausini –, che non hanno bisogno di ossigeno e che abbiano sintomi ancora lievi o moderati: la maggior parte ha mal di gola e mal di testa, ma per la presenza di fattori di rischio potrebbero degenerare verso forme più gravi. Queste persone, se vengono prese in tempo e con le giuste terapie, riescono invece a far regredire l’infezione, anche in breve tempo". D’altronde sono già 230, al San Salvatore, i pazienti trattati con le infusioni di anticorpi monoclonali nei quali è stata confermata l’efficacia delle cure.

"Negli ultimi giorni c’è stato un incremento di richieste – continua il direttore Frausini –: la scelta di un trattamento rispetto a un altro dipende ovviamente dal quadro clinico del paziente, ma c’è anche un discorso di tempistica. Gli anticopri monoclonali – per i quali basta una flebo di mezz’ora – danno buoni risultati se somministrati entro i 10 giorni dai sintomi, mentre per il Remdesivir, antivirale già utilizzato in ambito ospedaliero ma che ora può essere somministrato anche a domicilio, serve una infusione al giorno per tre giorni, e non si può andare oltre il settimo giorno dalla comparsa dei sintomi. Infine, per la compressa Molnupiravir – 4 pasticche ogni 12 ore per 5 giorni – c’è una finestra temporale di soli 5 giorni". Il problema della compressa, è anche un altro, e spiega perché spesso si preferisca percorrere altre vie terapeutiche. "Se c’è un’insufficienza renale o disturbi a livello gastroenterico preferiamo escludere il Molnupiravir, che ha più interazioni, mentre i monoclonali li diamo anche a chi ha insufficienza renale". E i diffidenti? Quelli che si vogliono scegliere la terapia? "Ci sono anche quelli, ma finora i pazienti che ho visto in ambulatorio erano tutti ben disposti. In ospedale mi è capitata una persona, ricoverata, che rifiutava i monoclonali. Per la solita storia dei farmaci sperimentali".