Berloni, ora si apre la gara Tre in corsa per il brand

Il giudice fallimentare ha omologato il concordato: in lizza ex socio taiwanese, un gruppo pugliese ed anche un fondo cinese. Si partirà da due milioni di euro

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Il traguardo è all’orizzonte per la Berloni cucine, o meglio di quello che resta di questo marchio storico del mobile-arredo nato nel 1960. Perché dopo due anni di tentativi, colloqui, vendita dei capannoni di Chiusa di Ginestreto, trasferimento in un capannone di Talacchio, il giudice fallimentare l’altro giorno ha ammesso il concordato. E cioè il piano che è stato presentato per evitare il fallimento. A mettere due milioni sopra il tavolo, il taiwanese Huang, uno dei tre soci della prima ora, ed anche l’unico che sembra convinto in un rilancio di questa partita industriale, perché avrebbe detto che vorrebbe continuare a produrre cucine con il marchio Berloni a Pesaro. Huang ha anche concretizzato la sua proposta di concordato depositando in tribunale un bonifico di 500mila euro, soldi già depositati in una banca di Milano.

Comunque il giudice fallimentare ha accettato il concordato ed ha anche nominato – dando conferma ad un percorso già intrapreso – a Leonardo Crescentini che è stato nominato commissario giudiziale. Partita chiusa per la Berloni che finisce nelle mani di questo industriale che rimbalza da Taiwan agli Stati Uniti dove ha sede la sua società ‘Thermos’? Questo no, perché c’è anche sul tavolo una seconda manifestazione di interesse di un gruppo pugliese che si era già fatto avanti circa un anno fa con una proposta che venne però respinta dal liquidatore della società, Alessandro Meloncelli. E nelle ultime due settimane si è fatto avanti anche un fondo d’investimento cinese, sempre attraverso un operatore pugliese, che sarebbe però solo interessato all’acquisizione del marchio per spostare la produzione in Cina per poi commercializzare la vendita in Italia e in Europa.

Comunque sia, la decisione del giudice fallimentare si andrà a concretizzare ai primi di marzo quando tutti gli attori in campo (teoricamente tre) dovranno partecipare alla gara per l’aggiudicazione dei questo brand del settore dell’arredo. Terminata la gara si saprà in che mani andrà a finire la Berloni. Quindi se resterà a Pesaro, oppure se prenderà altre strade.

Prima di questo atto, e cioè l’omologa del concordato, c’era stata anche una richiesta di fallimento che era stata chiesta dai dipendenti e da alcuni fornitori. Perché una trentina di lavoratori della Berloni devono ancora ricevere gli stipendi arretrati: da marzo dello scorso anno non hanno visto un soldo. "Soprattutto – dice Giuseppe Lograno della Cgil – tutte persone che sono rimaste per molti mesi attaccate all’azienda perché era stato a loro sempre promesso che la Berloni sarebbe tornata a produrre. Cosa che invece non è accaduta. Non solo questo ma allo stesso tempo non hanno mai visto un soldo. Una pagina molto triste che ha viaggiato sulla pelle della persone che alla fine si sono sentite prese in giro per cui hanno partecipato alla richiesta di fallimento".

La storia di questo brand è comunque è arrivata all’ultimo miglio perché fra qualche settimana si saprà che fine farà questo marchio che ha fatto la storia delle cucine, e non solo in Italia.