Berloni, resa dei conti fra i tre soci taiwanesi

Dopo un anno e mezzo le sorti della fabbrica di cucine è ancora nelle loro mani. Operai tutti a casa pagati in attesa della ripartenza

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Ci sono 29 dipendenti in ‘assenza retribuita’. Cioè stanno a casa e sono pagati. La Berloni cucine che doveva chiudere per ‘cessazione di attività’, ha continuato con micro-produzioni ed ora ha chiesto il concordato in bianco per mettere in frigorifero alcune richieste di fallimento. Venduto il capannone storico, i macchinari sono finiti a Talacchio nei capannoni della ex Tomassi cucine.

Questa storia infinita, perché va avanti da oltre un anno e mezzo, potrebbe cessare per la fine del mese. Ma il tavolo da gioco di questa sconfitta industriale, non è in città, ma dall’altra parte del mondo. E cioè a Taipei, la capitale di Taiwan. Perché gli scenari, incredibilmente, non sono cambiati e restano quelli dell’inizio di questa vicenda industriale: un incredibile braccio di ferro tra tre signori con gli occhi a mandorla, ricchi sfondi "che ne stanno facendo una questione di principio".

Comunque a fine mese è stata fissata l’assemblea dei soci dove parteciperà, anche se con una piccolissima percentuale, anche la famiglia Berloni. "Da quello che ci risulta – dice Giuseppe Lograno che per conto della Cgil ha sempre seguito questa crisi aziendale –, la situazione potrebbe sbloccarsi perché uno dei tre soci ha dato la sua disponibilità a prendere tutto e quindi a far ripartire l’azienda. Per questa ragione i 29 dipendenti che sono rimasti in carico sono in assenza retribuita. Una formula per non farli migrare in altre aziende del settore, visto che c’è richiesta di manodopera specializzata. Perché se la situazione si sblocca riprendono a lavorare sotto il marchio Berloni. E a tutti vengono pagati questi mesi di limbo perché la cassa integrazione per tutti è terminata il 22 di maggio".

I protagonisti della vicenda erano Maicol che era il presidente della società, quindi il consigliere David che è dentro anche al cda della corporation Mitsubishi e quindi Alex che è il produttore coreano di ‘Thermos’, la società che costruisce contenitori per mantenere i liquidi. E proprio quest’ultimo è stato quello che ha contestato la conduzione della Berloni agli altri due soci, facendo partire il meccanismo della messa in liquidazione volontaria della società. Per chiudere la partita il taiwanese Alex chiede che gli altri due soci lascino sul tavolo 7 milioni di euro e cioè i finanziamenti-prestiti che erano il grosso della massa debitoria della Berloni prima della chiusura. Una partita a scacchi che vede impegnato il liquidatore Meloncelli, come mediatore. Se non si risolve la vicenda a fine mese, con la scadenza del concordato in bianco, la società potrebbe fallire. Una ‘macchia’ che potrebbe avere risvolti pesanti, soprattutto per le partecipazioni nei cda delle corporation per gli altri due soci della Berloni, Maicol e David. Una chiara forma di pressione. Se termina il braccio di ferro la Berloni riprende vita "perché l’ultimo dei problemi è quello finanziario". E alla guida dovrebbe tornare la signora indicata dai tre soci per il controllo dei conti e che lasciò Pesaro due mesi prima della decisione di liquidare la Berloni. La partita si gioca tutta a Taiwan.

m.g.