Parla un condannato a vita: "Ho scelto il male, e pago"

Le storie dei sette che si sono raccontati ai ragazzi: gli sbagli, i rimedi

Parla un condannato a vita: "Ho scelto il male, e pago"

Parla un condannato a vita: "Ho scelto il male, e pago"

C’è chi sta prendendo la quinta laurea, chi ha imparato a fare il parrucchiere, chi fa quadri, chi fa il bibliotecario e chi ha trovato la sua libertà realizzando iconografie sacre anche se è condannato all’ergastolo. Sette detenuti ieri si sono raccontati agli studenti del Mattei raccomandandosi: "Non fate mai i nostri errori". Storie che li hanno colpiti, come quella di un 63enne siciliano, condannato al carcere a vita e originario di Cinisi, lo stesso paese di Peppino Impastato, il giornalista ucciso dalla mafia.

"Si può nascere in contesti difficili - ha detto il detenuto - ma non è detto che uno debba prendere una brutta strada. Peppino l’ho conosciuto, era un ragazzo come voi. E’ nato in una famiglia mafiosa e si è ribellato e ha dimostrato prima di tutti a me che io nella vita ho sbagliato perché la mia era una famiglia normale, mio padre era un gran lavoratore e mia madre una casalinga eppure io ho scelto il male che è la mafia e ora è giusto che io paghi".

Il 63enne è il detenuto che in carcere ha imparato a fare iconografie sacre e si è convertito alla fede pregando cinque ore al giorno. Grazie a queste opere che realizza, una l’ha regalata al Papa di recente e un’altra al ministro Nordio, ha trovato la sua libertà. "E’ un’arte particolare che ti porta ad entrare dentro di te - ha spiegato - e tocca la tua coscienza. A me ha fatto capire gli errori commessi, ho fatto un cammino spirituale e mi ha portato a ripulirmi, vivo per questa arte che mi fa sentire libero".

Una domanda del preside dell’istituto Mattei, Sergio Brandi, che ha chiesto ai detenuti se sono spaventati quando rientreranno in società una volta scontata la pena ha fatto aprire uno dei problemi che affliggono le carceri d’Italia, quello di un percorso anche dopo: non tutti infatti hanno una famiglia pronta ad accoglierli. "Sono l’ultimo di dieci figli - ha risposto un detenuto di 40 anni - e sono spaventato a tornare nel mio paese dove ho fatto del male. Sono una testa calda, mi sto prendendo la terza media e stato importate riscoprire la scuola. Ho girato diversi istituti penitenziari, sono stato più anni dentro che fuori, non lo auguro a nessuno il carcere, la libertà non ha prezzo". E’ stato toccato il tema dell’affettività. "Un amico di stanza è dovuto andare a Napoli - ha raccontato un altro detenuto - per l’inseminazione artificiale per avere un figlio. Nel 2024 questo non si può più sentire".

Marina Verdenelli