Cinquemila positivi, ma l’87% sta benissimo "Protocolli esagerati, meno oppressione"

Il dottor De Santi punta il dito contro l’eccesso di carichi burocratici: "Nella stragrande maggioranza dei casi, parliamo di un raffreddore"

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di Benedetta Iacomucci

Domenica, su 4923 positivi in regione, 598 manifestavano i sintomi. Gli altri 4325, l’87%, non avevano nemmeno un raffreddore. Ma anche per loro, comunque, scatteranno tutti i protocolli di isolamento, di quarantena per i contatti stretti, di eventuale Didattica a distanza e quant’altro. Una ’pandemia burocratica’ che si abbatte anche sui medici di famiglia. "Sinceramente – confessa il dottor Danilo de Santi, medico di Medicina generale e coordinatore dell’équipe territoriale del distretto di Pesaro – l’impressione è che il carico burocratico sia oggettivamente sproporzionato rispetto alla gravità della malattia. Anche perché al momento, anche chi ha i sintomi, nella stragrande maggioranza dei casi ha al massimo mal di gola o raffreddore. In pratica, Omicron colpirebbe, rispetto ad altri ceppi, più le vie respiratorie alte che i polmoni, come per altro dimostrato da recenti studi".

Per di più, con una disponibilità diagnostica così elevata – ormai un tampone si riesce a fare praticamente ovunque – è chiaro che i dati si impennano. Perché chi chi più cerca, più trova. "Sono quasi certo – dice De Santi – che questa variante Omicron ce la prenderemo tutti. Perché dalla mia esperienza personale vedo che non si sono infettati solo i giovani, che magari sono meno prudenti, ma anche i pazienti anziani, o comunque persone che non hanno particolare vita sociale. Di fronte a certe situazioni alcuni protocolli risultano oggettivamente esagerati". La fuga in avanti della Spagna, primo stato dell’Unione europea a decidere di trattare la pandemia come un’influenza comune, è una visione che al momento non sembra così irragionevole. "Sono scelte difficili – considera il medico –. Di sicuro però, per quanto mi riguarda, non sarei così ’oppressivo’ sulle quarantene dei contatti. Soprattutto per quanto riguarda le scuole. Oggigiorno un bambino dell’asilo che risulta positivo, manda in quarantena per 10 giorni tutta la classe. E questo crea tutta una serie di conseguenze, a livello sociale, di grande impatto. Se quel bambino non ha i nonni, ad esempio, uno dei genitori dovrà non andare al lavoro. Non tutte le aziende pagano la quarantena, in quei casi. E poi, non sarà più nocivo, per un bambino che sta bene, stare 10 giorni a casa, piuttosto che frequentare l’asilo? A cosa serve contare ogni giorno i positivi se tutti hanno al massimo un raffreddore?"

Domande che si stanno ponendo in tanti, in queste ore, anche a livello di Cts. Ci si chiede se non abbia più senso limitarsi a misurare la letalità e i ricoveri in terapia intensiva. Così da liberare anche i medici di base dalle incombenze burocratiche, perché possano tornre a fare il loro lavoro. "In questo periodo viaggio a una media di 30 telefonate al giorno – racconta il medico –: sono positivi che hanno bisogno del certificato per il lavoro. Poi quando è finita la quarantena non tutte le aziende si accontentano del tampone antigenico rapido: ognuna fa a modo suo, e alcuni vogliono il molecolare. Allora spesso dobbiamo farlo noi. Certe scuole invece vogliono il certificato di guarigione. E anche lì facciamo da tramite con l’Asur. Per non parlare del Green pass che non arriva quasi mai. In ambulatorio ormai si fa solo questo". De Santi non sarebbe contrario a sposare il modello Bonaccini: test in autosomministrazione e via. "E’ vero che sono meno affidabili, ma se uno è positivo che dubbi abbiamo? Non è da bocciare, ed è sicuramente meglio di quelle file interminabili davanti alle farmacie, dove non sai chi c’è".