Dal Covid alla guerra, infermiera in prima linea "Curo i pazienti feriti e amputati dalle bombe"

Alessia Gaudenzi, 36 anni, è a capo del reparto di rianimazione del treno-ambulanza di Medici senza frontiere in Ucraina

Migration

di Nicholas Masetti

Alessia Gaudenzi, dal lavoro nel reparto di terapia intensiva all’Ucraina, perché questa scelta?

"Ho preso l’aspettativa non retribuita per le missioni volontarie. Sono arrivata a Leopoli il 2 maggio e rimarrò fino a metà giugno. Dal 2018 lavoro in maniera discontinua con Medici senza frontiere. A seconda delle esigenze ti mandano nei luoghi, con un processo di reclutamento. Siamo operatori umanitari".

Come funziona il treno-ambulanza?

"Allora, noi ci troviamo a Leopoli. Qua abbiamo la base – racconta telefonicamente – Il treno medicalizzato permette di arrivare a più di mille chilometri a est del paese, ovvero sulla linea del fronte, vicino al Donbass, in città come Kharkiv e Dnipro. Dal 31 marzo il vecchio treno ucraino è attivo e Medici senza frontiere ha deciso di trasformarlo in una clinica mobile, come se fosse una grandissima ambulanza, capace di ospitare dai 20 ai 40 pazienti più le famiglie".

I pazienti che salgono quali problemi hanno maggiormente?

"Riceviamo pazienti da tutti gli ospedali vicini alla linea del fronte. Ci sono persone amputate o plurifratturate, a seguito di un’esplosione o con danni da schiacciamento tra le macerie. Sono perlopiù giovani. Ma anche anziani con patologie croniche che non possono più rimanere negli ospedali. Il tutto viene fatto in collaborazione con il ministero della Salute dell’Ucraina. Una volta tornati a Leopoli i pazienti vengono poi smistati".

E per lei, tutto ciò, cosa significa?

"Io sono a capo del vagone del reparto sub intensivo, responsabile della rianimazione. L’80% del tempo lo passo qua. Sistemiamo tutto, diamo assistenza, una vera e propria clinica mobile. Ciò che tocca il cuore sono le storie dei pazienti che ti continuano a raccontare il trauma recente che hanno appena vissuto. Arrivano poco dopo le esplosioni. Ci sono padri che hanno perso la moglie e non sanno come dirlo ai figli. Fotografi vittime di esplosioni che perdono una gamba per inseguire il proprio sogno. Tutte persone che si trovano al momento sbagliato e nel posto sbagliato".

La sua missione umanitaria è però al momento giusto e nel posto giusto...

"Sì, ma ci sono tanti posti giusti in cui potrei essere. Mi vengono in mente lo Yemen, il Sud Sudan. Non solo l’Ucraina".

Aveva già fatto altre missioni in passato?

"Sì, in Iraq, a Mossul, fu una missione post bellica. Mentre in Sud Sudan l’intervento fu in un ospedale da campo, con 70mila persone in un campo profughi. C’erano malaria, dissenteria e bambini che morivano di malnutrizione. Lo scorso anno ho festeggiato il compleanno in Iraq, quest’anno mi è toccata l’Ucraina".